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Teatrionline > Blog > Prosa > “I giganti della montagna” al Teatro Valle di Roma
Prosa

“I giganti della montagna” al Teatro Valle di Roma

Redazione
Ultima modifica: 29 Marzo 2011 10:17
Redazione
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Tuoni, fulmini, apparizioni, un frastuono tremendo. È con la finzione e i mezzi del Teatro che gli Scalognati, che vivono nella Villa del Mago Cotrone rifuggendo volontariamente la società, cercano di respingere l’arrivo della Compagnia della Contessa. Ma tutto è vano: i teatranti della Compagnia non si lasciano ingannare ed ecco che due mondi paralleli e opposti legati dall’Arte e dalla sua Necessità s’incontrano, anche se solo per poco. La Compagnia è ormai ridotta in miseria, ostinandosi a rappresentare, in nome dell’Arte, La Favola del figlio cambiato che la gente non vuole comprendere. L’atmosfera della Villa del Mago Cotrone o il mago stesso, le apparizioni, le trasfigurazioni come in un sogno evocano le atmosfere indispensabili per rappresentare al meglio il testo: e se Cotrone inviterà, in nome dell’Arte, la Compagnia a rimanere nella Villa per cercare soluzioni necessarie alla rappresentazione, la Contessa, proprio in nome del Teatro rifiuterà di isolarsi. Il Teatro deve scendere necessariamente fra la gente. A tutti i costi. Anche del sacrificio estremo. E Ilse non si sottrarrà al suo destino, cercando invano di diffonderlo fra l’arroganza violenta e ottusa dei Giganti della Montagna. E mai riferimento alla situazione attuale fu forse più indicato. Stefano Randisi ed Enzo Vetrano, palermitani d’origine e formazione, aprono la monografia (pirandelliana) in scena al Teatro Valle con una spettacolare trasposizione de I Giganti della Montagna. L’allestimento dei registi-attori va innanzitutto contestualizzato nel loro lungo e intelligente viaggio nella variegata drammaturgia pirandelliana (cominciato nel 1999) rappresentandone in un certo qual modo la summa. E si tratta di un allestimento dal fascino incontenibile, un vero gioiello visivamente magnifico, puro e inquietante. Il teatro nel teatro, la necessità e la tragicità dell’arte, la violenta ottusità del potere… un testo incompiuto, ostico e misterioso, magicamente tratteggiato dai registi con estrema finezza narrativa arrivando a svelare pian piano la trama, o le sottotrame che assumono via via autonomia e intensa forza espressiva. Lode agli attori, Stefano Randisi, il Conte fallito e perduto per la Contessa, dall’eleganza dimessa e disperata, ciecamente e totalmente innamorato della moglie, lode a Stefano Vetrano che disegna finemente Cotrone, magico, saggio affabulatore della verità poetica e lode alla compagnia per personaggi un po’ folli, un po’ surreali. E lode ai registi che ripensano ai Giganti come un poderoso affresco sulla vita e sull’arte, sulla realtà e sulla finzione, intellettualmente spettacolare, ma non sfrontato, innovativo, ma non eccessivo, anzi magicamente equilibrato fra tocchi surreali, grotteschi e ironici, cupo e inquietante. Insomma un allestimento semplice, ma solo in apparenza: non è il caso di lasciarsi ingannare dal minimalismo della scena, ma di restare avvinghiati e sedotti dalla parola e dalla bravura dell’interpretazione degli attori, dall’intelligenza della messinscena, dalle soluzioni sceniche semplicemente geniali, che si muovono fra innovazione e citazioni. I due registi attori omaggiano esplicitamente Kantor (La classe morta) e i suoi attori fantoccio, ma riescono a imprimere una visione chiara e viscerale alla vicenda con un allestimento sorprendente per la carica espressiva che incarna, per la forza emotiva che sprigiona in un lento crescendo muovendosi fra le geniali soluzioni, mai invasive e chiare sorprendono di scena in scena per giungere alla grandiosa soluzione finale. La discesa dei Giganti dalla montagna che si materializza sul fondo (magnifiche le luci di Maurizio Viani che disegnano l’inquietante montagna e illuminano il mondo alieno degli Scalognati e della Compagnia) è terrificante e tremenda, spaventosa fino a travolgere Ilse nel suo sacrificio estremo, qui proposto visivamente in una soluzione molto suggestiva. I registi arrivano a concepire arditamente anche il personaggio della contessa Ilse (il Teatro) pronta al sacrificio estremo, in modo geniale, incarnata nel suo doppio (come esigenza assoluta di esprimere l’arte e il Teatro e come impossibilità di farlo compiutamente) dalle due gemelle attrici (ottime) Ester e Maria Cucinotti. E così la Contessa appare e scompare, sogno e visione, proiezione dell’arte, si sdoppia e si propone con diverse intonazioni della voce, vulnerabile e intensa che deve necessariamente vivere fra la gente. E in chiusura, l’appello di Vetrano e Randisi in nome dell’arte che sottolineano un inquietante parallelo fra l’ottusità del potere che ignora e fagocita l’Arte. Meritatissimi gli applausi di una platea semplicemente entusiasta. E a ragione. La monografia al Teatro Valle prosegue con la serata omaggio di letture Per mosse d’anima e con Fantasmi che propone due atti unici di Pirandello, Sgombero e L’uomo dal fiore in bocca e Totò e Vicè di Franco Scaldati.

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