Nella vita di ogni giorno dovremmo far tesoro, ciascuno a suo modo, delle proprie esperienze personali in special modo se la nostra esistenza è stata di quelle che senza il prezioso supporto, se non addirittura aiuto degli altri, non saremmo riusciti ad andar avanti. E se un tale supporto o aiuto che dir si voglia sia giunto da amici, parenti, conoscenti o semplici persone magari pure incontrate per caso per strada, ebbene, la nostra volontà, a maggior ragione, deve poter protendere verso chi ha bisogno quasi per “restituire” il bene ricevuto. Beninteso, non deve divenire “un obbligo”, deve, piuttosto, poter risultare, per tutti, una situazione sociale normale, senza che vi siano condizioni di sorta che ti debbano quasi “costringere” ad agire in un certo modo, ancorché esso sia da ritenersi giusto.
Ecco dunque come “Le gratitudini” il cui titolo è già di per sé esemplificativo al riguardo, tratto dal noto romanzo di Delphine de Vigan di scena nel caratteristico teatro del Grillo di Soverato (Catanzaro) di cui è direttore artistico Claudio Rombolà – è stato questo ed altro ancora. “Le gratitudini” dunque che hanno visto un grande Paolo Triestino curare l’adattamento e la regia, comparendo tra i protagonisti con gli altri interpreti, è stata la rappresentazione plastica delle sorprese che ti può riservare la vita e della riconoscenza di quanto buono si possa prendere da quest’ultima con il suo carico di emozioni che si porta indissolubilmente dietro.
In questo senso, la protagonista di origine polacca Michka (una splendida Lucia Vasini) che per tutta la vita è stata correttrice di bozze in una grande rivista, sta perdendo, poco alla volta, le parole. Ora, però, da anziana e comprensibilmente fragile, non riesce più ad orientarsi nella fitta nebbia di lettere e suoni che le si addensano in testa. Michka vive in una residenza per anziani dove comunque riceve assistenza continua. Lei che voleva che Marie, l’ex vicina a cui ha fatto da seconda madre, non si preoccupasse tanto per lei.
Eppure, stavolta, è Michka ad aver bisogno. Non tollera più di tanto il fatto di dover trascorrere le sue giornate stancamente “da vecchia”. Tuttavia, “confinata” dentro quattro mura, a Michka non resta che consolarsi con le visite di Marie (bravissima Valentina Bartolo) e le chiacchierate con Jérôme (straordinario Lorenzo Lavia), il giovane ortofonista che lavora nella stessa casa di riposo. Il terapeuta del linguaggio, dal canto suo, s’è letteralmente posto a disposizione della sua paziente che, con tutti i suoi limiti, ha raccontato molto del suo vissuto dandole una grande mano a superare le difficoltà del presente e quelle che affioravano dai ricordi del suo passato. A poco a poco, però, le parole diventavano più flebili, e parlare era diventato un esercizio assai complesso e, tutto ciò, anche se non ha perso il senso dell’umorismo, Michka è del tutto consapevole di non poter essere in grado di “deviare” l’ineluttabile corso degli eventi. Ed è proprio per questo che vorrebbe realizzare un ultimo, importante desiderio: ringraziare la famiglia che l’accolse durante la guerra e che di fatto le salvò la vita, sottraendola, così ai campi di sterminio dove invece ci finirono i genitori che non ritornarono più a casa.
Saranno Marie e Jérôme ad aiutarla, fino a quando non sopraggiunge la morte che giunta improvvisamente spiazza letteralmente il giovane Jerome che avrebbe tanto desiderato poterle stare ancora accanto fino alla fine dei suoi giorni e che, adesso, gli provoca un moto di nostalgia e di “solitudine” tale da gridargli contro esasperato, perché gli manca “da morire”.
Gli applausi convinti di una platea emozionata conclude la splendida rappresentazione che dimostra, semmai ce ne fosse bisogno, come l’offerta di qualità che esprime il teatro del Grillo sia altamente significativa. Significative le scene create da Francesco Montanaro; i costumi di Lucrezia Farinella, le luci di Alessandro Nigro per una produzione A.artisti associati.