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Prosa

La Tempesta. Il sogno di Prospero

Tania Turnaturi
Ultima modifica: 30 Novembre 2015 08:47
Tania Turnaturi
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fotoScritta da Shakespeare tra il 1610 e il 1611, La Tempesta è l’ultima commedia del Bardo, con la quale dà un tacito addio al teatro.

Maestosa e catastrofica, la messinscena iniziale fotografa lo sconvolgimento della natura come un cataclisma che si abbatte sulla piccola isola del Mediterraneo dove Prospero, deposto duca di Milano, è stato relegato parecchi anni prima insieme alla piccola figlia Amanda, dalla perfidia del fratello Antonio che ha ordito una macchinazione contro di lui con la complicità del Re di Napoli Alonso, per spodestarlo.

Prospero ha imparato dai libri della sua vasta biblioteca i segreti delle arti magiche, alle quali ha fatto ricorso per liberare lo spirito dell’aria Ariel, imprigionato in un albero dal sortilegio della strega africana Sicorace, il cui deforme figlio Calibano, unico mortale presente in quel luogo, circuisce la giovinetta Miranda per ripopolare l’isola insieme a lei.

Mentre Antonio e Alonso sono in navigazione, di ritorno da Cartagine per il matrimonio della figlia del re di Napoli con un re cartaginese, il mago Prospero ricorre a tutta la potenza delle scienze occulte per scatenare, con l’aiuto del servo Ariel, una violenta tempesta che scaglia i naufraghi sulla costa.

Inizia così la rappresentazione, con i sopravvissuti che si dibattono aggrappandosi alle funi, tentando di schivare i flutti che sembrano volerli inghiottire, in una livida atmosfera pregna di dirompenti energie. Quando le forze della natura si placano, quella che prima era la tolda della nave è adesso l’antro di Prospero, contornato da sette (numero esoterico) porte bianche che si affacciano sul nulla, o sull’abisso, dalle quali egli entra ed esce sospinto in carrozzella dal fido Ariel.

Simbologie, allegorie attraversano tutta la rappresentazione in questa messinscena di Daniele Salvo. Le azioni degli uomini sono basse e volgari, la magia trasporta le vicende umane su un livello di percezione dove l’arroganza, la protervia e la corruzione non esercitano alcuna presa e la vita quotidiana è governata dall’illusione. Illusione generata nella mente di uomini malvagi da un essere apparentemente debole nel corpo, costretto in carrozzella dagli anni e dai dolori, ma fiero nel difendere il suo diritto e il diritto della figlia amatissima.

Le facoltà soprannaturali di Prospero fanno emergere la pochezza umana del fratello, inducendo al pentimento il re di Napoli. Intanto la vereconda e ubbidiente Miranda si è innamorata, ricambiata, del figlio di Alonso, il principe Ferdinando.

Creature fantastiche, spiriti, streghe, mostri, usurpatori, vittime popolano un mondo in cui tutto avviene tra visioni e miraggi e tutto muta vertiginosamente in altre trappole e malie, col supporto di Ariel che asseconda il suo padrone.

Ma l’amore spezza gli incantesimi. Prospero, non volendo contrastare il sentimento della figlia, rinuncia ai poteri di negromante e ai desideri di vendetta.

Incombe imponente la presenza di Giorgio Albertazzi, sempre indomito, amplificata dall’immobilità sulla carrozzina che disegna ghirigori sul palcoscenico sospinta dallo svolazzante Ariel (l’eclettica Melania Giglio), dalla quale si alza nel finale per pronunciare il monologo di riconciliazione.

La scenografia evoca una buia spelonca in cui i sogni, gli incubi e le visioni si illuminano nelle videoproiezioni sul velatino di fondo. I costumi di Fabiana Di Marco fondono lo stile dell’epoca con tessuti contemporanei invecchiati e patinati e materiali tecno, con decorazioni in garza sfilata e cordoni lavorati a mano, per i preziosi abiti di Miranda (la trepida Selene Gandini) e gli scoloriti e stropicciati indumenti degli altri personaggi.

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