La rilettura del classico di Collodi andata in scena al Carignano di Torino, per il cartellone del Teatro Stabile, fa ripensare anzitutto al personaggio stesso di Pinocchio. Nella ri-scrittura a sei mani di Antonio Latella – che ne cura anche la regia – Federico Bellini e Linda Dalisi, più che desiderare di diventare un bambino in carne e ossa il burattino senza fili vorrebbe rimanere bambino, schivando il trauma adolescenziale dell’ingresso nel mondo degli adulti.
È un Pinocchio, quello interpretato da un estroso Christian La Rosa, che sfoga le proprie turbolenze di tarda infanzia nelle modalità più classiche, osteggiando il padre (un Mastro Geppetto cinico, interpretato da Massimiliano Speziani, che ha “costruito” il figlio per trarne i benefici ma rifiutando la responsabilità paterna della sua educazione), maledicendo la madre inesistente nelle oscenità vomitate addosso a quella Fata Turchina che ne fa le veci (Anna Coppola). Ai genitori viene indirizzato tutto il disprezzo di chi sta al mondo senza comprenderne la ragione, con un Geppetto e una Fata che si contendono il merito della creazione del misero burattino.
La reinterpretazione di Collodi definisce il personaggio in base all’ambiente circostante: è un famigerato bugiardo, ma sono le menzogne dei truffatori che lo adescano a determinare la sua rovina. Un contesto sovrappopolato, caotico, che non lascia tempo a sufficienza per elaborare una morale per ognuna delle tante sventure vissute da Pinocchio.
Un impianto scenico eccellente, a livello di scenografia, costumi ed effetti, viene oberato dalla costante presenza di tutti gli interpreti sul palcoscenico: i tempi drammaturgici, soprattutto nel primo tempo, appaiono spesso troppo rapidi; l’ambizioso intento di portare le quinte di scena sul palco, imbastendo scenette che coinvolgano i personaggi che al momento non sono coinvolti nella narrazione, produce l’effetto di una distrazione (aspetto che la critica, abbagliata dalla «potenza dell’apparato visivo», non sembra aver notato).
Forse una volontà eccessiva di coerenza alla storia collodiana né ha determinato l’accelerazione oltre i limiti, pur mantenendo una durata tale da giustificare la cesura in due tempi. Vi si potrebbe addirittura additare una contraddizione rispetto all’intenzione di rileggere l’opera in chiave più matura, ma fortunatamente il secondo tempo distende e armonizza le tempistiche, dichiarando la vera natura dell’operazione del gruppo diretto da Latella: tra un gran rincorrersi di personaggi noti e meno, è indicativo che Lucignolo appaia soltanto come alter-ego e personalità sdoppiata dello stesso Pinocchio, sancendone il disagio e l’incertezza tipici di un momento delicato della vita come la pubertà.
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Pinocchio
tratto da Carlo Collodi
drammaturgia di Antonio Latella, Federico Bellini, Linda Dalisi
regia Antonio Latella
con Michele Andrei, Anna Coppola, Stefano Laguni, Christian La Rosa, Fabio Pasquini, Matteo Pennese, Marta Pizzigallo, Massimiliano Speziani
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
luci Simone De Angelis
musiche e suono Franco Visioli
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa