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Teatrionline > Blog > Opera > “Giulio Cesare” di Händel al Festival di Halle
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“Giulio Cesare” di Händel al Festival di Halle

Stefano L. Borgioli
Ultima modifica: 13 Giugno 2019 12:49
Stefano L. Borgioli
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1829
Giulio Cesare
Grga Peros (Julius Caesar) e Vanessa Waldhart (Cleopatra) © Theater, Oper und Orchester GmbH, Anna Kolata
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Giulio Cesare
Grga Peros (Julius Caesar) e Vanessa Waldhart (Cleopatra) © Theater, Oper und Orchester GmbH, Anna Kolata

Ogni primavera Halle diventa un potente magnete per gli appassionati di Georg Friedrich Händele della sua musica. L’edizione 2019 della Händel-Festspiele si intitola “Empfindsam – heroisch – erhaben. Frauenfiguren in der Musik zur Zeit Händels” (Sensibile – eroico – sublime. Figure femminili nella musica ai tempi di Händel) ed è dedicata alle figure femminili delle pagine händeliane (nelle opere del Caro Sassone appaiono più di cento protagoniste e un’altra settantina nei suoi Oratori!). Il festival mantiene gli standard artistici che lo distinguono, mettendo in campo un migliaio di artisti, provenienti da ogni parte del mondo, che offrono al pubblico oltre cento eventi in una ventina di luoghi diversi (https://haendelhaus.de/en/hh/veranstaltungsliste). All’interno del cartellone spiccano sei rappresentazioni liriche in forma scenica e due opere in forma di concerto. Giova ricordare che a Halle le recite sono in tedesco.

Giulio Cesare
Jake Arditti (Testa di Pompeo – Parte di Sesto) e Benjamin Schrade (Sesto) © Theater, Oper und Orchester GmbH, Anna Kolata

Il lunedì di Pentecoste si è assistito al nuovo allestimento del Giulio Cesare, affidato alle cure del team registico di Peter Konwitschny e Helmut Brade. Nella migliore tradizione del Regietheater, l’opera di Händel è smontata e riassemblata. In un Egitto di maniera, fra piramidi e palme di cartone, si accentua la dimensione comica, a volte perfino grottesca, della vicenda e si strizza l’occhio anche all’attualità. I due popoli sono nettamente separati, anche dal punto di vista visivo. I Romani sono una potenza straniera occupante, appena alzato il sipario escono da un sottomarino, e i legionari dell’Urbe sono vestiti di nero come commando. Gli Egiziani, in bianco, hanno tratti medio-orientali da cliché. I protagonisti principali sono poi figure note, stereotipi da rotocalco. Giulio Cesare potrebbe essere un dirigente della CIA o un boss di una qualche compagnia mercenaria privata. Cleopatra una vamp giovane e intrigante con un serpente velenoso nell’armadio. Tolomeo un tirannello medio-orientale con velleità da dongiovanni. Cornelia completa il quadro delle figure principali presentandosi in scena, abbastanza inspiegabilmente, come una pescivendola ambulante, assieme al figlio Sesto, un monello pieno di vitalità, per sfoggiare in seguito una platinatura alla Marylin. Cambia anche l’ordine di alcuni numeri vocali e, soprattutto, la distribuzione delle voci. Il duetto conclusivo del primo atto fra Cornelia e Sesto è qui cantato con malinconia da Cornelia e Cleopatra e sostituisce lo happy end amoroso dell’opera, in cui Cleopatra e Cesare si promettono eterno amore. In questa versione le due gran dame rimangono sole in palcoscenico, Cesare porta il piccolo Sesto a Roma e i romani ripartono in sottomarino. Il ruolo di Sesto viene sdoppiato: le arie sono cantate dalla testa del padre Pompeo che appare a tratti sul palcoscenico (davvero eccellente il controtenore Jake Arditti per la vivacità e la qualità delle colorature), mentre il piccolo Benjamin Schrade recita con grande naturalezza e maramaldeggia sul palcoscenico. Le parti di Giulio Cesare e Tolomeo scritte da Händel per voci femminili (mezzosoprano e contralto rispettivamente) sono affidate a due baritoni, s’immagina per alzare il livello di competizione virile e di testosterone in palcoscenico. Per quanto si perda l’emozione suscitata dall’altezza di certe colorature da mezzoprano, l’operazione riesce e Grga Peroš nei panni del condottiero romano è uno dei mattatori della serata, assieme alla Cleopatra di Vanessa Waldhart. Il baritono croato, sfoggia voce potente e duttile e passa in pochi istanti dal gran recitativo dolente “Alma del gran Pompeo” (per maggiore comodità si citano le arie con il loro incipit italiano originale e non con la versione tedesca sentita a Halle) alla seduzione licenziosa di “Non è si vago e bello”. Espressiva anche la recitazione. Spassoso quando canta l’aria guerriera “Al lampo dell’armi” in sottana. Vanessa Waldhart restituisce una Cleopatra giovincella ma tutt’altro che ingenua con voce limpida e sicurezza nelle agilità. Di struggente intensità “Piangerò la sorte mia”, quando si duole del suo destino.

Giulio Cesare
Coro femminile, Robert Sellier (Curio), Benjamin Schrade (Sesto), Grga Peros (Julius Caesar) e vitlana Slyvia (Cornelia) © Theater, Oper und Orchester GmbH, Anna Kolata

Da tutto questo rimescolamento di carte esce uno spettacolo compatto, anche per qualche sforbiciata ai recitativi, e brioso. Di sicuro non ci si annoia. Alcuni passaggi sono frizzanti e un po’ audaci, come il duetto fra Giulio Cesare in canottiera e Cleopatra in bikini, e non manca nemmeno qualche venatura splatter come Cleopatra che decapita la salma del fratello Tolomeo e poi si balocca con la testa. Divertente anche l’aria “Va tacito e nascosto”, trasformata in un summit fra capi di stato, in cui Cesare e Tolomeo cercano di avvelenarsi a vicenda e uccidono i rispettivi assaggiatori. Una recita spumeggiante, perfino caricaturale, in cui la comicità e il dinamismo fanno premio sulla psicologia dell’originale händeliano, anche se a tratti si ha l’impressione di rimanere un po’ sulla superficie delle cose. Lo spettacolo comunque funziona, anche grazie alla nuova traduzione del libretto di Werner Hintze. Se la regia è la grande protagonista di questo Giulio Cesare anche il lato musicale contribuisce al successo della serata. Il mezzosoprano Svitlana Slyvia restituisce voce e gesto a Cornelia, dipingendo la parte con colori scuri e dolenti. Istrionico e sempre sicuro il Tolomeo di Tomasz Wija. David Pichlmaier canta Achilla con voce solida, in una parte forse troppo piccola per i suoi mezzi vocali e scenici. Bravi anche i comprimari e il coro. Michael Hofstetter, specialista del repertorio di Handel e Gluck, dirige l’orchestra del festival, la Händelfestspielorchester Halle che suona su strumenti d’epoca, e restituisce con precisione e maestria il dettaglio della pagina händeliana. Forse a volte un attimo di dinamismo in più avrebbe reso ancora più eccitante la vertigine di certi passaggi del Giulio Cesare.

Applausi lunghi e calorosi per tutti i protagonisti della serata.

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