Andato in scena presso il Teatro di Rifredi di Firenze
Al Teatro di Rifredi è andato in scena A.K.A. di Daniel J.Mayer, l’attore, drammaturgo e regista argentino che vive da vent’anni a Barcellona, insegna recitazione ai ragazzi e si è imposto nel panorama teatrale internazionale con questo spettacolo, il cui debutto risale al 2018.
Angelo Savelli, Premio Ubu Speciale per la promozione della nuova drammaturgia internazionale, ai suoi cinquant’anni di palcoscenico, rivisita il monologo con un team di giovani e brillanti artisti, per promuovere l’integrazione e la consapevolezza dell’importanza delle proprie radici, attraverso una contemporanea opera d’arte totale, che fonde recitazione, canto, musica, ballo e pittura, in un insieme di successo.
A.K.A., sigla di Also Known As, espressione del linguaggio urbano usata per citare gli pseudonimi e i nomi d’arte, è una storia estremamente attuale di ricerca di identità; Carlos, un ragazzo straniero, trapiantato in tenera età in Spagna, una terra a cui sente di appartenere a tutti gli effetti, rimuove, però, gli eventi tragici delle guerre jugoslave che hanno segnato indelebilmente la vita della sua prima infanzia e tenta di trascurare il crescente clima xenofobo che sta investendo, in modo sempre più significativo, la sua città e i migranti giunti dalle zone di conflitto.
La stigmatizzazione, tuttavia, acuisce sotterraneamente il complesso processo di adattamento sociale che caratterizza il periodo dell’adolescenza, quando il rapporto con i coetanei e i familiari dovrebbe consentire esperienze necessarie a sviluppare la propria individualità, in un contesto sicuro; inoltre, Carlos è stato adottato e fatica ad integrarsi, tendendo ad isolarsi e nascondendo le sue insicurezze dietro ad un atteggiamento ironico e sorridente che si riflette anche nel suo abbigliamento streetwear disimpegnato e nel desiderio di appartenenza ad una crew hip hop.
La sua indole ancora giocosa e fanciullesca viene, tuttavia, definitivamente destabilizzata dall’impatto traumatico con una realtà che lo demonizza e lo porta al centro di una bufera mediatica e giudiziaria, per un’accusa infondata di violenza carnale; così, un quindicenne anonimo di periferia è costretto passivamente a vedere ridefinita la sua identità dalla società di cui voleva essere parte e che invece lo condanna ad assumere un ruolo inaspettato, trasformandolo in capro espiatorio e martire innocente, inquisito per le sue origini.
La detenzione, del resto, non lo aiuterà a comprendersi meglio, ma lo renderà certamente più consapevole del trattamento di marginalizzazione riservato alle fasce povere e disagiate della popolazione, consentendogli di considerare l’importanza di un riscatto necessario, attraverso lo studio e l’acquisizione di competenze che potranno permettergli di costruirsi un progetto di vita concreto e, dunque, la desiderata formazione del sé.
Lo sfondo scenografico, fissamente illuminato, che il ragazzo ripercorre con un pennello, in una metaforica ricerca di un percorso e di un equilibrio interno nel labirinto di stimoli, sfide, barriere architettoniche e culturali del suo mondo, è di Francesco Forconi, l’artista noto come SKIM, già protagonista della mostra Genesi, presso la Galleria di Palazzo Medici Riccardi di Firenze.
Un trionfo di colori testimonia la passione di SKIM per i graffiti, ma anche per i cartoni animati; si ispira a Haring , Jacovitti, ma anche a Pontormo, utilizzando, in modo innovativo e poetico, un sapiente contrasto cromatico, per dare vita ad una babele di sovrapposizioni, armonie caotiche di simboli iconici che interpretano, con uno stile decisamente originale, l’ambientazione nella quotidianità della città.
L’opera incornicia anche le spalle della platea, coinvolgendola, di fatto, nell’impianto scenografico, oltre che nella rappresentazione stessa come interlocutrice diretta a cui, spesso, l’attore si rivolge, nel corso di una serie di sedute di terapia di gruppo, allestite sotto il palco, su delle sedute in semicerchio che si completano idealmente con le poltrone degli spettatori, a cui porta riflessioni e osservazioni nel corso di tutta la trama; sul palcoscenico, intanto, si alternano fluidamente, su dei binari, a scena aperta, un letto da cameretta e una panchina, emblemi della vita abituale di un ragazzo, diviso tra l’intimità della sua stanza e gli incontri al parco con gli amici.
Lo spazio è abitato, per tutto il monologo, dal prorompente eclettismo artistico di Vieri Raddi che occupa la scena solitaria, riempiendola del suo talento, interagendo con personaggi che non è possibile vedere, ma che riusciamo naturalmente ad immaginare, vista la straordinaria dote espressiva che coinvolge il pubblico nella narrazione, senza stancare, ma anzi, sorprendendo con la spiccata padronanza del breaking, per le coreografie di Arianna Benedetti e del rapping, nelle interpretazioni dei brani di cui è coautore insieme al produttore e sperimentatore musicale Lupus Mortis e a Jaidem, l’artista italo-palestinese con il cuore nella sua terra d’origine e la testa e la pancia a Firenze, dove, proprio come Carlos, si è avvicinato all’hip hop, per raccontare quanto i condizionamenti sociali possano gravare sullo stato d’animo e sulla qualità della vita delle persone.
A.K.A.
(Also Known As)
di
Daniel J. Meyer
Traduzione
Manuela Cherubini
con
Vieri Raddi
regia
Angelo Savelli
scenografie
SKIM
musiche
Jaidem, Lupus Mortis, Vieri Raddi
movimenti coreografici
Arianna Benedetti
produzione
Teatro della Toscana
In accordo con Arcadia & Ricono Srl per gentile concessione di De Arteche Agency, SL
foto
Filippo Manzini