Al Teatro Argentina di Roma fino al 2 febbraio 2025
Massimo Popolizio dirige due stelle della scena teatrale italiana, Umberto Orsini e Franco Branciaroli, e insieme uniscono le forze in questo gioioso revival della commedia scritta nel 1972 da Neil Simon, prolifico autore newyorkese di opere teatrali e musicali.
I “Ragazzi irresistibili”, come erano conosciuti i due comici Al Lewis (Orsini) e Willy Clark (Branciaroli), si ritrovano dopo oltre un decennio per partecipare, loro malgrado, a uno speciale televisivo per la CBS sulla storia del varietà americano. I due leggendari (e irritabili) artisti, che non sono mai andati molto d’accordo, sono stati i re della commedia più quotati per oltre quarant’anni. Ora, non si scambiano più una parola.
Lo spettacolo inizia con una gag, c’è Branciaroli nei panni di Willy, vedovo come Al, in una modesta stanza dell’Ansonia Hotel nel centro di Manhattan (realizzata con un’affascinante sciatteria dallo scenografo Maurizio Balò), dove vive come un recluso e ogni tanto legge copioni per lavori pubblicitari in TV che non ottiene mai. Tutto lascia pensare che, per veterani teatrali come Willy, lo spettacolo e la vita sono una cosa sola. Quando Willy si prepara una tazza di tè, la musica della pubblicità televisiva della Lipton accompagna i suoi passi. I mobili démodé sono come oggetti di scena piantati da un direttore di palcoscenico apposta per ostacolarlo, perfino la serratura della porta d’ingresso non si apre mai due volte nello stesso modo.
Willy ha un temperamento irascibile. Detesta il suo ex partner per la sua decisione di abbandonare l’attività. Invece Al, interpretato da Orsini, vive con la figlia sposata nel New Jersey e non vede l’ora di ricevere visite dai nipoti che farebbero impazzire Willy. Al è cauto e meticoloso, il tipo di uomo paziente che ascolta attentamente, come fanno gli anziani quando vengono accusati di essere smemorati. Al è decisamente più mite ma mostra una determinazione argentea quando si tratta di posizionare con precisione una sedia e ha lo sguardo di un’anima gentile.
C’è poi la convincente interpretazione di Flavio Francucci nel ruolo di Ben, il nipote-agente che si forza di rimanere paziente e comprensivo di fronte alla belligeranza dello zio, conscio del fatto che l’ostinazione, l’infantilismo e la pigrizia professionale sono spesso inseparabili dalla vecchiaia.
Per quanto lieve sia l’opera, la presenza del terzetto dimostra che l’alchimia della recitazione può avere un effetto magico. The Sunshine Boys è il tipo di commedia che ti fa sorridere quasi di continuo, ti fa ridere a crepapelle in diverse occasioni e poi, alla fine, ti lascia a chiederti se è tutto lì. Di cosa abbiamo riso? Delle battute che Willy e Al si lanciano a vicenda, di gag che curiosamente, pur nella loro semplicità, sembrano non aver mai superato la data di scadenza. Tutto qui. Nello sketch del “dottore”, che aveva resero celebre la coppia di comici, Simon ci dà un assaggio del tipo di gioco teatrale (medico ciarlatano, infermiera sexy, paziente vittima) della commedia umoristica americana degli anni ’40, in cui il politically correct, ad esempio, non era certamente all’ordine del giorno.
Eppure “Lewis e Clark”, come astuti professionisti di un circuito comico collaudato, sanno tenere incollato il pubblico con battute che vengono naturali come respirare e vanno a segno con una regolarità da orologio. Il tocco d’oro dei due protagonisti e la complicità tra Branciaroli e Orsini con il pubblico fanno la differenza. C’è qualcosa di tenero e disarmante, sotto i rimbrotti di Branciaroli, che conferisce alla scontrosità di Willy una sorniona malinconia al chiaro di luna e Orsini, utilizzando un minimo di gesti, senza apparente sforzo, offre un’interpretazione acutamente schietta e brillantemente innocente nei panni di Al. I due mattatori in scena sono così bravi a interpretare i vecchi artisti da lasciare immaginare che mai lo diventeranno.
Solo dopo ti rendi conto che The Sunshine Boys è una storia toccante piena di ricordi, rimpianti e risate che accompagnano un’amicizia che dura una vita. La commedia è vivace, ma i ricorrenti problemi cardiaci di Willy tendono a una conclusione inevitabilmente cupa.
Ma se da un lato Neil Simon riesce a strappare un numero straordinario di risate dal confronto tra i comici che bisticciano, dall’altro fa capire che la vecchiaia non è uno scherzo. Willy e Al possono anche essere personaggi da vaudeville; ma, nelle loro discussioni e nel loro mix di dipendenza e aperta ostilità, assomigliano a molte coppie di anziani che lottano contro la mortalità e, soprattutto, contro la paura della solitudine.
Roberta Daniele