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Reading: Il Mistero buffo di Dario Fo (PS: nell’umile versione pop) al Teatro Vittoria di Roma fino al 20 marzo
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Teatrionline > Blog > Prosa > Il Mistero buffo di Dario Fo (PS: nell’umile versione pop) al Teatro Vittoria di Roma fino al 20 marzo
Prosa

Il Mistero buffo di Dario Fo (PS: nell’umile versione pop) al Teatro Vittoria di Roma fino al 20 marzo

Redazione
Ultima modifica: 11 Marzo 2011 09:10
Redazione
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Era il 1969 quando Dario Fo scandalizzava l’Italia con il suo dissacrante Mistero buffo, inventando e reinventando un nuovo genere teatrale e ora, a distanza di 40 anni, Paolo Rossi omaggia doverosamente il suo maestro e amico, con la sua personalissima rivisitazione dello storico spettacolo. Il Mistero buffo di Dario Fo (PS: nell’umile versione pop di Paolo Rossi) è palesemente un’umile versione dal risultato sorprendente: umile (ponendosi rispettosamente in confronto all’originale?) perché si erge dalla parte degli umili, “gli unici protagonisti veri del buono e cattivo tempo della nostra società di ieri e d’oggi”. E Paolo Rossi, beffardo, geniale, travolgente, irriverente, geniale giullare dei nostri giorni, attualizza la figura del fool, rielaborando i suoi racconti inediti mischiandoli a quelli originali di Fo, per un risultato strabiliante che riesce ad accendere tutta la gamma delle emozioni umane. Se, come spiega Rossi, nel prologo, i misteri (le antiche rappresentazioni religiose) si sono evoluti sino a diventare pop, allora ecco che il suo mistero buffo è ora in versione pop: pop in quanto popolare, per restituire dignità proprio al teatro popolare, grazie alla forza eversiva del linguaggio. Pop inteso come una sorta di “frullato” (sempre per citare l’autore), rivisitazione fra musica e attualità, storia e religione in cui appare determinante il cambio repentino di registro, dal comico al drammatico. Non si tratta di una semplice riproposizione, e non potrebbe e non vorrebbe esserlo, dello storico spettacolo di Fo, ma ha molto a che vedere con l’originale: continua a essere spettacolo di teatro di narrazione sì, e in fieri. Ogni sera il versatile, leggero e spietato giullare Rossi, reinventa il suo Mistero insieme al pubblico, eredita il grammelot di Fo, che trasforma in un inarrestabile miscuglio di dialetti, fra pugliese, triestino d’origine e inglese, ma lo spettacolo parla di tutti noi, della nostra società, dei nostri mali, illuminando la cattiva coscienza del padrone proprio attraverso la feroce ironia e il riso, sempre tenendo conto che “la vera trasgressione di oggi è rimanere lucidi”. Fra il serio e il faceto, in una scena completamente in legno, un palco sul palco, a richiamare le nude tavole della Commedia dell’Arte, Paolo Rossi rivisita le sacre rappresentazioni e s’interroga sulla religione, divaga soavemente fra l’attualità e la cronaca, si chiede come sarebbe fare lo spettacolo della vita, portando un gruppo di manichini clandestini a Salò improvvisandosi scafista. E ancora racconta misteri buffi e meno buffi, improvvisa sui canovacci come un vero commediante, canta canzoni pop dal sapore illuminante, cambia bruscamente e inaspettatamente registro, affronta con irriverenza popolare il Vangelo, interrogandosi spassosamente e mai banalmente sulla difficile condizione di padre putativo di Giuseppe, sulla fanciullezza di Gesù, sui suoi miracoli, chiedendosi le conseguenze che ci sarebbero se Gesù decidesse di tornare ora, proprio ora, ai giorni nostri in Italia. Immaginatele voi. Ai posteri l’ardua sentenza. In quasi tre ore di spettacolo che scorrono come nulla fosse e senza cedimenti, fra palpitante emozione, lazzi, scherzi, feroce ironia e sarcasmo, commovente consapevolezza e brillanti e sagaci scelte di posizione, il giullare Paolo Rossi appare in stato di grazia stregando e intrattenendo il pubblico, anche durante l’intervallo, “solo” con le sue strabilianti doti affabulatorie assumendo la lingua violenta e la disinvolta fisicità del fool. Ripreso dopo il grande successo dello scorso anno, lo spettacolo si arricchisce della presenza scenica del manichino Goran, simbolo della clandestinità emarginata, e dal chitarrista Emanuele Dell’Aquila che interagisce perfettamente come spalla comica di Rossi, suo co-protagonista nell’esilarante prologo e nel finale cabaettistico. Da segnalare anche la presenza della lucidissima Lucia Vasini, che recita una dolorosa e straziante Passione finale. La regia di Carolina De La Calle Casanova riesce a ben canalizzare l’energia prorompente dell’imprevedibile Paolo Rossi riuscendo a farlo brillare, ma senza strafare. Dovete vederlo.

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