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“La Traviata” della mercificazione sentimentale spopola nel capoluogo emiliano

Erika Di Bennardo
Ultima modifica: 2 Maggio 2019 19:05
Erika Di Bennardo
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La Traviata
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La TraviataTempo di tornare ad un grande classico operistico per il Comunale di Bologna, anzi per meglio dire all’opera più rappresentata al mondo. La Traviata di Giuseppe Verdi va in scena nell’allestimento firmato da Andrea Bernard, presentato nel 2017 a Busseto in occasione del Festival Verdi. Qui ripresa con una nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna con il Teatro Regio di Parma, la celeberrima opera lirica datata 1853 rivela godere non di buona ma di ottima salute grazie alla brillante regia di Bernard, fischiato a fine spettacolo da una parte del pubblico e acclamato dall’altra.

Non c’è traccia dell’avvenente cortigiana parigina nella Violetta di Bernard, trasposta nella determinata titolare della casa d’aste Valery’s, dove si svolge il primo atto dell’opera. Donna in carriera, Violetta non perde tempo in inutili e romantici corteggiamenti con il giovane Alfredo, e va dritta al punto. Bernard si interroga sulla mercificazione dei sentimenti al giorno d’oggi e mette in discussione un amore conosciuto in tutto il mondo da oltre un secolo e mezzo, collocando la vicenda dell’opera verdiana in un presente asettico e privo di slanci emotivi, freddo e sterile. È forse per comodità che i due si innamorano, o meglio decidono quasi a tavolino di diventare una coppia andando a vivere insieme fuori Parigi? A legarli, simbolico quanto importante a livello drammaturgico, la stampa che ritrae due giovani amarsi tra candide lenzuola. Acquistata da Alfredo durante l’asta iniziale per far colpo su Violetta, la stampa viene poi sfoggiata in bella vista a casa dei due e diventerà il mezzo, lo strumento con il quale Alfredo umilierà la ragazza, gettandole addosso dello champagne.

«Croce e delizia» contraddistinguono l’opera, nel caso specifico dell’adattamento di Bernard forse più la prima che la seconda. L’impianto scenografico, ideato dallo stesso regista insieme ad Alberto Beltrame, ben sposa questa grigia visione della vicenda, priva di emozioni e ricca di freddezza. Giochi condotti a carte scoperte quindi, anche e soprattutto durante il colloquio di Germont padre con Violetta, la quale cede prontamente l’amore di Alfredo imbastendo la pantomima che porterà alla celebre scena di furente delusione e gelosia da parte del giovane. L’epilogo finale risulta forse un po’ forzato nella soprascritta visione, ma comunque coerente con l’idea di fondo. Violetta muore attorniata dalle persone a lei care (nuova fidanzata dell’amato compresa) nella quasi totale indifferenza da parte di Alfredo, che quasi non le si avvicina nemmeno.

Ciò che musicalmente convince maggiormente della messa in scena diretta da Renato Palumbo è il livello corale: forte e prorompente nelle scene d’insieme, esso dona vigore e fluidità all’opera, confermando la professionalità del coro del Teatro Comunale di Bologna diretto da Alberto Malazzi soprattutto nella celebre Libiamo ne’ lieti calici. Particolarmente apprezzato dal pubblico e sicuramente in linea con l’interpretazione di un personaggio ambiguo come Giorgio Germont Simone Del Savio, austero e vocalmente possente. Delude invece l’Alfredo di Francesco Castoro, dal timbro saldo e limpido ma impacciato nei movimenti, mentre un plauso speciale va senza dubbio a Luisa Tambaro, interprete in extremis della prima a causa dell’indisposizione del soprano Mariangela Sicilia. La sua Violetta regge degnamente un’opera che in tutti e tre atti la vede indiscussa protagonista e portatrice principale del messaggio veicolato dal dramma La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio. Il trittico amore-sacrificio-morte regna sovrano e si fa portavoce di valori ancora oggi necessari attraverso l’immortale musica di verdiana memoria, celebrando alcune fra le arie più conosciute dell’intero repertorio operistico.

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