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Il rompiballe

Tania Turnaturi
Ultima modifica: 21 Gennaio 2020 12:53
Tania Turnaturi
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Il rompiballe
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Il rompiballeCaposaldo della drammaturgia comica, la commedia di Francis Veber ha avuto due versioni cinematografiche di successo: “L’emmerdeur” di Edouard Molinaro con Lino Ventura e “Buddy Buddy” di Billy Wilder con Lemmon e Matthau.

Adesso viene rappresentata a teatro da un duo di collaudata sintonia, che ha già fatto divertire con “La cena dei cretini” dello stesso autore.

Comicità sorniona e disincantata, incastro di imprevisti ed equivoci, sostituzione di persone rendono il testo leggero e imprevedibile, ideale per la vis comica dei nostri due attori che si ripartiscono equamente la responsabilità di costituite l’elemento destabilizzante della vicenda umana uno dell’altro. Le vite speculari di François Pignon e Ralph Milan si intersecano in due stanze attigue di un hotel a Montpellier il giorno in cui uno vuole mettere fine ai suoi giorni e l’altro deve uccidere un pentito.

Pignon (Nicola Pistoia) è disperato per essere stato lasciato dalla sua donna che gli ha preferito lo psichiatra che non l’ha aiutata a riavvicinarsi a lui. Milan (Paolo Triestino) è un killer professionista che ha preso alloggio nella camera la cui finestra offre la mira perfetta per colpire il testimone di un importante processo nel momento in cui scenderà dalla vettura per entrare in tribunale.

Mentre Milan si accinge a posizionare il mitra davanti alla finestra, è coinvolto suo malgrado nei maldestri tentativi di suicidio di Pignon che provocano l’allagamento delle stanze. Per scongiurare l’intervento della polizia, il sicario promette di prendersi cura del vicino, di cui, tuttavia, non riuscirà più a liberarsi. Il sopraggiungere della moglie, ossessionata dalle telefonate compulsive, innescherà ulteriori contrattempi che renderanno sempre più difficile la realizzazione del piano criminale. Con l’arrivo dello psichiatra l’intreccio si ingarbuglia ulteriormente e Milan verrà messo in condizione di non poter più nuocere.

In un tourbillon di contrattempi con le macchiette di un poliziotto imbranato, un cameriere sprovveduto, un aspirante suicida invadente e frenetico, un killer in stato confusionale, una donna annoiata e uno psichiatra pasticcione, la commedia si avvia verso un inaspettato finale.

La comicità lieve e scanzonata del testo, le gag e i fraintendimenti suscitano un’irrefrenabile ilarità, assecondata dalla scenografia dello spaccato delle due camere attigue e comunicanti.

Il talento comico di Nicola Pistoia, logorroico e stralunato, si appalesa al suo solo apparire e il suo personaggio diventa ancora più beffardo quando indossa caftani coloratissimi per compiacere la sua donna. Paolo Triestino, il killer della mafia russa, per contrasto è tutto vestito di nero, dagli occhiali alle scarpe per passare inosservato.

Il groviglio si dipanerà con un’involontaria inversione dei ruoli, per far ridere e meravigliare.

Antonio Conte, Loredana Piedimonte, Matteo Montaperto, Alessio Sardelli sono gli altri interpreti.

Dalle note di regia di PISTOIATRIESTINO: “François Pignon, la “maschera” ideata dal genio francese, parla al cuore di ciascuno di noi. Quel cuore che una volta pulsava per le piccole cose, per i nostri sogni più ingenui, per le grandi aspettative e che oggi invece batte sempre più flebile, perché sommerso da mille rumori: la fretta, l’arroganza, la volgarità, l’egoismo, la rabbia e la crisi profonda di tutto ciò che si può definire “bellezza”.

Il tema in fondo è lo stesso: l’arroganza contro il candore, i cattivi sentimenti contro i buoni, la violenza contro una mano tesa. Il tutto, ovviamente, tra una risata e l’altra.

Veber ha il dono dell’apparente leggerezza che, con mano sapiente, tratteggia l’umanità variegata che ci circonda e la rende affettuosamente risibile. I suoi progenitori sono Goldoni, Moliere, e più vicini a noi, Labiche e Feuydau. Noi proveremo a restituire al pubblico la Sua profondità leggera, quella che regala risate fino alle lacrime e però anche un pizzico di malinconia per la gentilezza che abbiamo conosciuto o, forse, ci illudiamo di aver conosciuto. Non una sola nota volgare, in un mondo dove ormai tutto è volgarmente assordante”.

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