Il poeta vede il bello dove altri vedono il banale, scorge vita dove altri morte. Così la
poetessa Marisa Cossu, già sin dalle pagine iniziali di questa silloge dal titolo Sintomi
poetici (Guido Miano Editore, 2022), cioè nella prima parte Sentire il tempo, osservando e
riflettendo su quel che le si offre davanti agli occhi, come le Trasparenti pareti delle case
della sua strada, le sente palpitanti di vita («irradiano la vita»), laddove altri vedrebbero solo
insignificanti pietre, mentre invece la intristisce la pietra che è il cuore indurito dell’uomo.
Così come vede nel nido scavato nella battigia in riva al mare, non chiusura o isolamento,
ma punto di partenza per spiccare il volo verso la libertà: «…Eppur l’abisso non ha in sé la
morte /…/ Il nero alcione nella riva nato, / la libertà richiama nel cammino / dell’azzardo del
vivere….» (Il nido).
Marisa Cossu riflette sul significato del tempo («il tempo non esiste», Senza tempo) che
viene superato dall’eternità «dove sia sempre giorno» (Alice) come se noi, già qui in terra,
fossimo inseriti in un tempo senza limite, nella infinità. In effetti qui, nella esistenza terrena,
assaporiamo l’eternità, sentiamo l’infinito quando ci eleviamo nello spirito. «Io, piccola
particola d’eterno» (“E quando miro in ciel arder le stelle”); «Io, minima particola
d’eterno» (Ecco il mio cielo); «Ecco il mio cielo pieno di mistero: / mi incanto se rimiro ad
occhi chiusi/ quell’infinito che si muove intero» (ivi).
Ma nelle sue riflessioni serpeggia l’idea che l’essere umano passa nella sua esistenza
attraverso due fasi: prima si sente come incatenato, si sente in prigione, poi avviene un
risveglio, l’irruzione della libertà che lo conduce verso alte mete. Simbolo di ciò è l’acqua
sorgiva: «Quel getto che zampilla dalla roccia / l’acqua sorgiva … / rassomiglia alla stanza
della vita: / sotto la terra dura perde il sole, // ma continua la corsa dove vuole…» (Acqua).
Forse sono questi i sintomi poetici: l’anelito allo svelamento, da quanto è sotterraneo alla
pienezza della libertà che fa realizzare la propria essenza.
Non per nulla, nella copertina del libro vediamo una fanciulla sugli scogli in riva al mare,
in atto di contemplazione, e il mare è segno di infinito, di libertà, di grandezza.
***
Nella seconda parte del libro, intitolata Stanze segrete, ritorna il tema del risveglio, e
questa volta è il cigno che si eleva dal fango e spicca il volo. Nel cigno si cela l’autrice
stessa che in questo librarsi in alto percepisce «Bellezza», che è l’espiazione, da lei voluta, e
perciò volontaria e consapevole, di un destino avverso, in cerca di luce. E la luce arrivò. E
fu amore. Da Le ceneri dell’io affiora allora l’identità. È lo svelamento della propria
essenza. «…non saprò cosa gemmi dal torpore / di un oscuro destino / parte migliore, forse,
di me stessa; / lo accettai per soffrire, / espiando la vita a me concessa / in cerca di una
luce…» (Attesa).
Questa seconda parte, rispetto alla prima, scava maggiormente nella interiorità. Temi
frequenti sono il fine dell’uomo, il suo destino, poi l’ignoto, il mistero, l’oltre, e in tutto
questo c’è l’uomo che oscilla sempre tra il fango e il sublime. Ancora il richiamo della
Bellezza con la Poesia, l’Arte. E tutti questi temi si intrecciano e sfociano dalla impetuosa
ansia di conoscenza della poetessa. Ella riconosce l’Arte come dono: «L’Arte… / permeò di
pura meraviglia / il mondo dell’umana conoscenza / svelando all’intelletto la bellezza. /… /
Ma l’Arte venne e illuminò la scienza. / Si strinse dentro fossile conchiglia / che d’infinito a
volte soffia il suono». È l’Arte infatti che ci introduce nel mondo dell’infinito.
***
Ma cos’è la Bellezza se non lo splendore dell’Amore? Eccoci allora giunti alla terza parte
che ha un titolo delizioso e molto significativo, Amo divinamente. Eh già. Si può parlare
veramente di amore quando esso ricalca le orme dell’amore divino.
E quale amore è più simile a quello divino se non l’amore materno? Ecco allora, in questa
terza parte, più di una poesia dedicata alla madre. «Mi passa accanto il tuo profumo, madre,
/… lo sguardo tuo / che più lontano mira…» (A mia madre). Anche l’amore paterno, e,
ricordando il genitore: «… In me di conoscenza, / di speranza e d’amore / seminò un campo
vasto che aro ancora…» (Innesti). Anche l’amore di una moglie che presagisce la morte del
marito che va in guerra. Ecco un richiamo allo struggente episodio del saluto di Andromaca
al marito Ettore, come narrato nel poema omerico. «… Ahi! dolce sposa, presaga del lutto, /
Cogli l’amore nell’abbraccio estremo, / Ama questo momento d’infinito» (Andromaca). E
non poteva mancare Colui che è l’espressione più compiuta dell’amore divino, cioè
dell’amore di Dio Padre, che è Gesù: «… quel dio-dentro che con voce lieta / nella vicenda
umana si palesa…» (Questo Natale). Ma una constatazione amara: «… Quel figlio non lo
vuole questa terra, / tutti rinchiusi nell’indifferenza / dove non c’è la pace né il perdono…»
(ivi). Ma non viene meno la speranza che è «… quella parte d’infinito / che ne richiama l’ali
pur se il nulla / volteggia insieme al desiderio estremo; /…/ Non so se nel ritorno / sia la
resurrezione…» (Speranza).
Il pensiero dell’infinito, del mistero che si riveste di luce è associato, nella mente e nel
cuore della poetessa, ad un colore che ben si accosta alla luce, e cioè l’argento. «Amore che
d’argento ti rivesti…» (Argento). Argento che è dunque, luce, che è bellezza, la quale è
dunque lo splendore dell’amore. E lo splendore dell’amore si palesa in qualcosa che è gesto
gentile e delicato, il sorriso. «…Il riso nato dall’interno cuore / all’uomo venne in dono,
unica e sola / forma creata dall’eterno Amore, / scintilla già pensata… / il riso è segno del
soffio divino / e il Poeta ne scrive nel suo Canto…» (Il sorriso).
MARIA ELENA MIGNOSI PICONE – MARISA COSSU, Sintomi poetici, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano
2022, pp. 92, isbn 978-88-31497-84-8, mianoposta@gmail.com.