Intervista a Ilaria Maria d’Urbano in scena al Brillante Nuovo Teatro Lippi con
“E poi..? Dialogo tra amore e morte”
Ilaria Maria d’Urbano, scrittrice, poetessa e attrice, porta in scena – insieme a Roberto Visconti – testi poetici tratti da “Mani di prugna”, l’ultima sua raccolta, nello spettacolo
“E poi..? Dialogo tra amore e morte”
il 10 gennaio alle ore 20.30 al Brillante Nuovo Teatro Lippi, via Pietro Fanfani 16 a Firenze.
1 // Due mani unite da un filo che dà forma un cuore: come nasce l’idea dello spettacolo e cosa possiamo aspettarci di vedere?
È un filo di precarietà, il famoso ‘sentirsi appesi a un filo’, ma è anche un filo di collegamento tra la vita e la morte, tra chi resta e chi va. Lo spettacolo nasce con l’idea di far vibrare questo filo, tenderlo e così accorciare la distanza.
2 // Monologhi e dialoghi poetici sono tratti da “Mani di prugna”, l’ultima sua raccolta di prossima pubblicazione: protagonista è la parola, che racconta cosa? Dove ci porta?
Il cuore della raccolta è mia madre, la sua malattia, la sua morte. Da questo cuore pulsante parte un percorso che va ad abbracciare tutte le morti. Per questo ho voluto dare voce alle persone sepolte nel piccolo cimitero di Terenzano dove ogni giorno mi reco per coltivare questi speciali rapporti di amicizia. A sottolineare il valore del rito della sepoltura sarà proprio l’eroina greca nata dal pensiero di Sofocle: Antigone, che rivivrà nella drammaturgia. Roberto Visconti, con me sul palco, è la voce maschile che si fa ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
3 // Ogni monologo sarà preceduto da un’introduzione proiettata sul fondale che le persone potranno leggere in silenzio: quanto è importante lasciare spazio all’interpretazione e all’azione del singolo?
Innanzitutto ho voluto creare un breve momento di lettura perché penso che sia complementare e predisponga all’ascolto. Mi piace dare qualche input così che lo spettatore possa comprendere meglio quello che verrà poi raccontato in modo che comprensione e mistero restino sempre abbracciati.
4 // I temi centrali sono il lutto e l’amore: di cosa sono capaci questi sentimenti?
Il lutto e l’amore sono capaci di contrasti profondissimi. Soprattutto di assottigliarci ed espanderci contemporaneamente. Sono inoltre capaci di connetterci a quello che Jung definiva inconscio collettivo facendoci sentire parte di un tutto molto più grande di noi. Questo avviene però solo se non ci chiudiamo al dolore.
5 // Ci sarà un omaggio alla memoria di due vittime del nazismo: Bruno Rodella, eroe della resistenza, vittima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, e Goffredo Paggi, arrestato a Firenze e deportato nei campi di concentramento. Ci racconta di queste due importanti figure?
Bruno Rodella era lo zio della mia mamma, il fratello del nonno. E per noi bambini è sempre stato l’eroe di famiglia. Mi ricordo ancora la prima volta che andai a fare visita alle Fosse Ardeatine. Ero piccola e leggere il nome dello zio fu un’emozione fortissima. Anche sentire tanto dolore concentrato in un luogo. Goffredo Paggi invece è stato il grande amore della mamma di Roberto Visconti. Per ricordarlo proporremo una lettera d’archivio di Goffredo ad Anna.
6 // “E poi?” è il quesito che l’essere umano si pone da sempre. Cosa risponde nello spettacolo e a quali livelli intente portare lo spettatore?
Al titolo “E poi…?" nato da una conversazione sulla morte con Tina, una mia carissima amica di 99 anni, sono molto legata perché era una domanda che ponevo spesso quando ero piccola, e che a Teatro vuole portare ciascuno spettatore a rispondere con la propria sensibilità, con il proprio essere.
7 // Come si supera la barriera della razionalità per restituire il valore del sentire?
Già la dimensione dell’ascolto abbatte in qualche modo la razionalità perché ci pone in collegamento con ciò che è diverso e altro da noi; ci saranno inoltre musiche, parole scolpite, immagini, brevi video, che ci accompagneranno in questo viaggio.
8 // La poesia, la parola, sanno essere cura?
Leggere poesie e scrivere poesie: una cura per me da quando sono molto piccola. Mio padre era medico e scriveva poesie; mi chiamava la sera nel suo studio, quando non c’era più nessuno, e mi leggeva quello che aveva scritto. Era un momento di profonda condivisione, di ascolto, di attenzione, di cura reciproca, di intimità. Perché la parola poetica è nuda, nasce dall’atto dello svestirsi e quando la pronunci ti senti vulnerabile. In più papà faceva parte della giuria del “Rosone d’oro” Premio internazionale di Lettere, Scienze ed Arte, un appuntamento importante nel paese in cui ho vissuto la mia infanzia. Un anno premiarono Evtusenko, avevo nove anni; quell’incontro – con mio padre emozionato – è scalfito nelle vene. Da allora scorre rumorosa la poesia nel sangue. La scrittura è ciò che sono. La parola che nasce dalla discesa in me stessa è dunque un grande atto di responsabilità. Mi impegno a mantenere pulito e luminoso quello spazio sacro da cui emerge.
9 // Come la poesia incontra e contagia le altre arti?
Amo molto la commistione tra le varie forme d’arte. Dalla mia ultima raccolta poetica “Mirra”, ad esempio, è nata una collaborazione tra poesia e musica, dando vita allo spettacolo “Parola: tra musica e poesia” in collaborazione con il cantautore Giovanni Caccamo, prefatore dell’opera. È bellissimo quando si sposano poesia ed arti figurative, poesia ed arti performative. Credo che ci sia un rapporto di ispirazione reciproca. Mi è capitato di scrivere versi guardando un quadro, una scultura o un corpo che danza e viceversa ci sono artisti che hanno creato opere a partire da una poesia. Il comune denominatore è aprirsi all’altro, al diverso, consapevoli di abbeverarsi alla medesima fonte: la bellezza.
10 // Professione poetessa: tra contemplazione e meditazione in un tempo che corre frenetico.
Probabilmente la mia professione è questa: contemplativa silenziosa. Mi riferisco al significato etimologico della parola professione intesa come “dichiarazione pubblica” della propria scelta di vita con cui posso contribuire alla costruzione del mondo in cui vivo. Trascorro molto tempo in solitudine, pratico regolarmente meditazione da 28 anni; in alcuni periodi scelgo proprio di non vedere persone per creare un deserto in cui ci sia spazio per dialogare con le mie ombre. Rendere fertili le mie terre disabitate. Da qui nasce la mia poesia, la mia scrittura.
11 // Quali sono le parole che più dovrebbero servire ai ragazzi in questi tempi, e perché?
Attenzione, ricerca, curiosità, presenza, ascolto, meraviglia, amore. Non solo ai ragazzi, a tutti noi, probabilmente ancora di più a coloro che hanno scelto di diventare padri e madri, genitori. Aggiungo una parola: disciplina. Da ex atleta posso dire che nella disciplina, nella regola del sole e della luna che sorgono e tramontano con instancabile dedizione si scopre quel mix meraviglioso di diritti e doveri che fanno crescere con armonia, che ci fanno diventare Persone.
Intervista di Chiara Niccoli