Candidato al Premio Nobel per la Letteratura nel 2016 e nel 2023
Pierfranco Bruni è poeta, scrittore, saggista, calabrese, esploratore intellettuale ed estetico, canto di nessuno nel labirinto del mondo contemporaneo.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, è presidente del Centro Studi “Grisi”. Ricopre, altresì, numerosi altri incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura nei Paesi Esteri. È responsabile, per conto del MiBAC, del progetto di studio sulle Presenze minoritarie in Italia. Candidato al Nobel per la Letteratura nel 2016 e nel 2023. Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali Via Carmelitani, Viaggioisola, Per non amarti più, Fuoco di lune, Canto di Requiem, Ulisse è ripartito, Ti amerò fino ad addormentarmi nel rosso del tuo meriggio, racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati L’ultima notte di un magistrato, Paese del vento, L’ultima primavera, E dopo vennero i sogni, Quando fioriscono i rovi, Il mare e la conchiglia). Si è occupato del Novecento letterario italiano, europeo e mediterraneo. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro. Numerosi sono i suoi testi sulla letteratura italiana ed europea del Novecento. Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. Ha scritto, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (Il cantico del sognatore mediterraneo, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni. I due segmenti fondamentali che caratterizzano il suo viaggio letterario sono la memoria e la nostalgia. Il mito è la chiave di lettura, secondo Pierfranco Bruni, che permette di sfogliare la margherita del tempo e della vita. Tutta la sua poetica vive di queste atmosfere.
Non ha mai creduto al realismo in letteratura. Il realismo è cronaca, è rappresentazione, è documento. Il simbolo, invece, è mistero. È metafora, è fantasia, è sogno. Il suo poderoso saggio-racconto dal titolo Mediterraneo. Percorsi di civiltà nella Letteratura contemporanea è una testimonianza emblematica del suo pensiero. Dei suoi libri alcuni restano e continuano a raccontare. È convinto che la letteratura e la vita senza il sogno, l’amore e l’ironia non avrebbero senso. L’amore quando è sogno ha sempre delle illuminazioni. Gli orizzonti sono nel viaggio e le albe e i tramonti possono anche somigliarsi ma non hanno mai lo stesso colore. Lungo il suo cammino ci sono stati e ci sono molti libri incompiuti, ma non ha alcuna intenzione di definirli. Non viaggia per ritrovarsi perché è convinto che gli approdi non sono mai consapevolezza e che gli arrivi s’intrecciano con le partenze e i ritorni e vanno sempre oltre Itaca. Molti fra i suoi testi sono stati tradotti in Paesi Esteri. I suoi ultimi lavori hanno trattato il pensiero di Manlio Sgalambro, l’empietà del greco siculo e Albert Camus, in solitudine d’esilio. Si potrebbe aggiungere molto altro. Ma lasciamo che siano le sue parole a raccontarci qualcosa in più.
Professore, ci vuole raccontare di cosa parla questo suo ultimo lavoro letterario su Camus, in solitudine d’esilio, solitudine coraggiosa, esilio del poeta o del ricercatore della verità oltre il suo tempo?
Con vero piacere rispondo alle sue domande. Camus è uno scrittore centrale degli anni 1940/1960. Nella sua opera c’è già tutta la crisi della modernità. In contrapposizione a quella ideologia alla quale nei suoi primi anni della sua ricerca si era affacciato porta sulla scena il tempo delle macerie e delle rovine proprio della modernità. L’uomo è in rivolta. Deve restare in rivolta per dare un senso al senso umano. Contrasta il concetto di rivoluzione e si allontana da quella filosofia della ragione nella quale si era ancorato Sartre. Camus è nel mito greco e da buon mediterraneo traccia quel meridiano che non è culturale soltanto ma è soprattutto esistenziale. L’uomo è solo. Per vivere di solitudine in pazienza di saggezza occorre abitare la metafora dell’isola.
C’è un altro libro a cui è particolarmente legato e che ha ispirato la necessità del suo percorso e che sta all’origine della sua ricerca intellettuale? E perché?
Il libro al quale sono legato è il primo dal titolo Ricordi di passi Segni sulla sabbia… Non solo perché appartiene a 50 anni fa e quest’anno ripubblicato con alcuni accorgimenti ma perché già allora il senso del tempo e della memoria erano riferimenti. Ancora oggi mi cerco in quel labirinto.
Quale responsabilità crede che abbia la cultura nella società di oggi, nel suo cambiamento o nella sua conservazione?
Oggi la cultura resta il perno centrale delle società. Le culture come conoscenza. La politica dovrebbe dedicarsi con più vigore ai processi culturali. Perché sono formazione, metodologia, educazione. Ho sempre sostenuto che il suicidio della politica passa attraverso l’omicidio della cultura.
Quale rapporto ha con la città nella quale è nato, anche come fonte di ispirazione? E con la cultura mediterranea che è luogo ma anche non-luogo, sogno, incontro?
I rapporti con il mio paese la mia città di formazione hanno lasciato un segno indelebile nel mio viaggio poetico e nella mia vita. Ma non ho alcuna nostalgia. Bisogna saper convivere con il proprio tempo con la propria età e con le assenze.
Penso al suo romanzo storico “Luisa portava in una mano una scarpetta di lana”, l’angosciosa vicenda storica dei due divi del cinema Luisa Ferida, incinta, e Osvaldo Valenti, uccisi a colpi di mitraglia, a guerra finita nell’aprile del 1945 a Milano, e mi viene da chiedergli che rapporto crede ci sia tra memoria storica e mitologia, tra etica universale e compromesso fattuale?
Il libro su Luisa Ferida e Osvaldo Valenti mi è costato molta fatica. Come quello di alcuni anni fa su Claretta Petacci. Sono libri della memoria. Certamente. La memoria è nella storia e viceversa. Ma c’è qualcosa in più. C’è il racconto di mio padre. Sono nati proprio dai dialoghi con mio padre. Per questo ho scritto anche Quando mio padre leggeva Carolina Invernizio. Sostanzialmente racconto tra l’altro la giovinezza di mio padre: ricordare. Ovvero vivere con il cuore.
Sicuramente i lettori di Teatrionline vorranno sapere: qual è il suo rapporto, anche personale, con il teatro?
Il mio legame con il teatro è stato sempre fondamentale. Ho anche recitato. Da giovane facevo parte di una compagnia teatrale in Calabria. Da studente universitario a Roma andavo spesso a teatro. Credo due volte alla settimana. Ho rivestito l’incarico di vice presidente della provincia di Taranto e assessore alla cultura tecnico dal 1995 al 1999 e la prima operazione culturale è stato creare il Magna Grecia Festival. Una rassegna teatrale di grande importanza: da Giorgio Albertazzi a Irene Papas. I miei testi su Ovidio e Ulisse sono nati sulla linea di una rappresentazione teatrale. Poi ci sono i miei libri su Pirandello. Anche di Brasillach, un testo che uscirà a breve, mi ha appassionato il suo teatro. Un mio viaggio.
Dopo Casanova, Camus e Sgalambro, quali saranno i suoi progetti futuri, i suoi approdi nel senso da compiere?
Forse dovrei riposarmi un po’. Sono usciti diversi libri e altri due in attesa. Brasillach come dicevo e poi un libro già pronto da correggere su Giuseppe Berto. Sta per uscire un prosimetro al quale ho lavorato negli ultimi mesi. Poi aspetto le bozze di un testo di filosofia dal titolo Oltre l’ovvio. Non so cosa farò domani. Molte idee. Molto lavoro. Ho bisogno di capire meditando.