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Teatrionline > Blog > Intervista > Sebastiano Lo Monaco racconta cosa c’è “Dopo il silenzio”
Intervista

Sebastiano Lo Monaco racconta cosa c’è “Dopo il silenzio”

Irene Romano
Ultima modifica: 15 Gennaio 2015 15:36
Irene Romano
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fotoRaggiungo telefonicamente Sebastiano Lo Monaco mentre è in auto diretto a Firenze, dove dal 13 al 18 gennaio 2015 porterà in scena al Teatro della Pergola lo spettacolo Dopo il silenzio, tratto dal libro “Liberi tutti” di Pietro Grasso, Presidente del Senato ed ex Procuratore Nazionale Antimafia. L’ora del debutto fiorentino si avvicina. L’esigenza di trovare la giusta concentrazione e di conservare le energie, tuttavia, non supera l’urgenza intima che l’attore ha di dar voce ad un testo che è un invito a reagire ed agire contro la mafia. Ne nasce un racconto/riflessione sul valore dell’arte teatrale e sulle responsabilità che un interprete porta con sé sulla scena quando decide di farsi veicolo di valori quali coraggio, libertà e giustizia.

Dopo aver dedicato gran parte della Sua lunga carriera ai classici, nel 2010 porta in scena con successo Per non morire di mafia e adesso torna ad offrirsi alla lezione di Grasso con Dopo il silenzio. Entrambi i testi sono figli del nostro tempo e segnano una nuova fase per lei, dedicata all’impegno. A cosa si deve questa scelta?

Tutto è nato dopo aver letto il primo testo di Pietro Grasso. Per non morire di mafia era già pronto per il teatro. Scritto come monologo, inizia con «Io sono siciliano, sono nato a Licata in provincia di Agrigento nel 1945» ed è esattamente così che l’ho portato sul piano teatrale. È vero, una fase della mia carriera è costellata dai tragici greci e da Pirandello, ma la tragedia greca contemporanea è quella delle istituzioni, quella della impossibilità del vivere una vita nella libertà, nella serenità, perché c’è sempre la criminalità organizzata che ti opprime. Dall’altra parte i testi pirandelliani, che affondano il bisturi nelle più riposte e recondite sfaccettature dell’animo umano. Per cui se si mettono insieme i tragici greci e Pirandello, Pietro Grasso non sta facendo altro che scrivere, come ha detto un grande giornalista siciliano sul Corriere della Sera qualche giorno fa, quando debuttavamo al Piccolo Teatro, «Dalla tragedia greca alla tragedia siciliana». Quello che può sembrare un salto di carriera strano, quindi, tutto sommato ha una sua conseguenza logica quasi naturale.

Per combattere la mafia è necessario abbattere il muro del silenzio, ma è altrettanto importante, soprattutto per i più giovani, che ci siano modelli di moralità da seguire e voci autorevoli a cui affidarsi. Cosa significa per Lei portare in scena le parole e l’esperienza di Grasso?

Grasso è autorevole proprio perché conosce i confini e i limiti della persona umana. Non crede di tenere in sé tutte le risposte, ma le cerca con una totale dedizione all’impegno professionale ed umano. Ho conosciuto sia l’uomo che il magistrato e non mi sono accorto di nessuna differenza. La sua è una correttezza fuori dall’ordinario e lo è da molto tempo. Per questo, da siciliano, già da ragazzo vidi in lui un faro, un mito, una luce. Una persona ed una lezione, morale ed etica, verso cui tendere il proprio stile di vita per provare, non dico riuscire, ma provare ad essere un cittadino migliore, che vive nelle regole e nell’etica come è previsto da uno stato democratico.

Portare in scena uno spettacolo come Dopo il silenzio è un importante contributo per la collettività. Che ruolo ha l’arte al giorno d’oggi?

Il teatro amplifica sempre la parola. La pagina scritta, raccontata da un corpo con una mente, diventa una forma di comunicazione più forte, più violenta, totale e più facile da recepire. Questo è da sempre il compito del teatro, quello di far da tramite tra il pensiero, il logos degli autori, la parola e il pubblico. E tentare, così, di raccontare la storia dell’uomo.

Entriamo nel merito dello spettacolo. In che rapporto si pone Dopo il silenzio rispetto a Per non morire di mafia?

Per non morire di mafia era la scelta iniziale e giovanile di Grasso, l’aspetto professionale della sua carriera, mentre Dopo il silenzio entra più nel privato. C’è la figura della moglie, Maria Fedele, che in un ambito professionale diverso, ma nello stesso percorso, ha volto alla libertà il picco della sua vita. Era un’insegnante in un quartiere dove i giovani erano ad alto rischio di assunzione di metodi criminali. Un percorso molto bello, interessante, ma doloroso. I Grasso quindi hanno unito i loro destini anche professionalmente e questo testo lo racconta.

Da siciliano, non La addolora portare in scena il lato oscuro della Sua terra?

Siccome rappresento i personaggi positivi, non sento il dolore nel loro racconto. Sento la bellezza della loro vita. Sono gioiosi e allegri, ed è inimmaginabile il tono con cui ricordano dettagli, particolari, piccole incrinature; come quando, con un distacco ed un’ironia incredibile, Grasso racconta che stava per morire. Io sono molto meno positivo di loro come persona, ma siccome questi sono la vita, portandoli in scena ne racchiudo la parte positiva. Sento tutta la gioia di queste figure che mi invade. La stessa gioia di cui sono portatore spero sano.

Il titolo dello spettacolo non poteva essere più evocativo. Dopo il silenzio urge la parola, la reazione. Lei ha fiducia?

Purtroppo ne ho un po’ meno dei Grasso. Loro hanno abbracciato questo stile di vita e ne sono completamente pieni, mentre io nei confronti della nostra realtà e della contemporaneità, nutro speranza, ma anche qualche dubbio. Bisogna essere sinceri con se stessi; io lo sono con i Grasso e voglio esserlo anche con il pubblico.

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