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Enrico IV

Alessandra Manenti
Ultima modifica: 16 Dicembre 2017 08:06
Alessandra Manenti
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Foto di Matteo Delbò
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Foto di Matteo Delbò

Di Luigi Pirandello

Adattamento e regia di Carlo Cecchi

Con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò, Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso, Remo Stella

———

Un uomo cade da cavallo durante una cavalcata in maschera e impazzisce, rimanendo imbrogliato nel personaggio di cui vestiva i panni. Quanto a trama, Pirandello non amava certo gli intrecci avvincenti; quello che caratterizza la sua corposa produzione, teatrale e non solo, è piuttosto la riflessione interiore del protagonista, la mancanza di certezze e dunque i dubbi dei personaggi, il continuo alternarsi della realtà con la finzione. Così, la scelta di Enrico IV di continuare a vivere nella propria lucida follia crea le condizioni per una farsa nella farsa, o tragedia come preferisce definirla lui. Non a caso, al contrario degli altri personaggi, Enrico IV non ha altro nome, non c’è distinzione tra il pazzo e il personaggio che egli interpreta. L’Enrico IV di Carlo Cecchi non è quello di Luigi Pirandello. Se il testo è sostanzialmente il medesimo e i personaggi restano quelli dell’originale, d’altra parte l’opera se ne discosta per un aspetto nodale: come precisa lo stesso regista, nel proprio adattamento teatrale egli ha «fatto della follia e della recita della follia di Enrico IV, che nell’originale ha una causa clinica un po’ banale, una decisione dettata da una sorta di vocazione teatrale». Preferisce recitare una parte, quella del pazzo. Non solo. La versione di Cecchi si discosta dall’originale anche manifestamente, attraverso le incursioni di Ordulfo che, quando un altro personaggio si allontana con una battuta dal testo pirandelliano, lo corregge. Si introduce così un altro motivo caro allo scrittore agrigentino: la dicotomia tra l’attore e il personaggio. Cecchi aggiunge all’Enrico IV un pizzico dei Sei personaggi, sommando al primo la vivace confusione del secondo. Ogni individuo sul palco è così allo stesso tempo, agli occhi dello spettatore, un attore, il personaggio che interpreta nello spettacolo e quello che impersona nella farsa ideata per Enrico IV e da lui stesso proseguita. Entrambe le variazioni introdotte da Cecchi godono della freschezza dell’originalità e dell’esperienza dell’attore, ma non convincono fino in fondo. Quella che il regista e adattatore chiama «causa clinica un po’ banale» non è in Pirandello così palese. Anzi, la certezza che sia davvero pazzo, come quella che sia guarito, non c’è mai. L’impressione è proprio quella, voluta dall’autore, di non poter distinguere la realtà dalla finzione, la follia dalla lucidità, anche quando una di queste condizioni sia esplicitamente dichiarata. «Non si può mica credere a quel che dicono i pazzi!». E allora gli si crede considerandolo sano, oppure lo si considera pazzo, dandogli ragione? L’obiettivo di Pirandello e del suo Enrico IV è mettere in discussione la nostra facoltà di giudicare cosa sia folle o meno e se sia meglio vivere una realtà in cui le parole valgono più dei fatti o prendere la strada di una consapevole finzione. E consapevole fino a che punto? Fino forse a ferire a morte chi lo ha sempre appellato come pazzo e ora vede in lui la lucidità, ora che i fatti compiuti, più che le parole dette, sembrano fare di lui un pazzo?

Dissertazioni filosofiche a parte, la decisione di Cecchi di rinfrescare l’opera di Pirandello è più che condivisibile e il suo stile lievemente improvvisato dà un tocco di leggerezza piacevole. La scenografia mobile e lo spettacolo nel suo complesso arricchiscono di modernità e asciugano di pomposità l’originale. C’è equilibrio – elemento necessario per chi si accosta a mostri sacri del teatro come l’Enrico IV – tra il rispetto del testo e la volontà di farlo atterrare senza turbamento in un terreno storico che non è il suo.

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