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Teatrionline > Blog > Prosa > E poi è diventato più importante vivere. Flusso d'(in)coscienza di una tragedia famigliare
ProsaRecensioni/Articoli

E poi è diventato più importante vivere. Flusso d'(in)coscienza di una tragedia famigliare

Alan Mauro Vai
Ultima modifica: 27 Settembre 2020 14:29
Alan Mauro Vai
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Niente di me
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Niente di meAl Teatro Astra riapre, dopo sei mesi di chiusura, la stagione teatrale, denominata per l’appunto Re/Start, e finalmente il pubblico può tornare a godere e a fruire degli spettacoli e dell’incontro dal vivo con l’emozione che solo la presenza del palcoscenico può donare.

Niente di me debutta a Torino, dopo essere stato in scena alla Biennale di Venezia in forma di Anteprima, ed inaugura la nuova stagione settembre – dicembre 2020 della Fondazione TPE e Festival delle Colline Torinese, con la produzione dello stesso TPE, dello Stabile dell’Umbria e del CTB di Brescia.

Arne Lygre è un autore enigmatico, criptico e di non semplice collocazione, considerato erede di Henrik Ibsen e Jon Fosse, condensa in una scrittura poietica un retaggio che va da Ibsen appunto a Beckett, passando per Fosse, Schwab, Bernard. Lo spazio vuoto, 4 cubi, un quadrato mondo in cui si mettono in scena relazioni costruite dalle parole, i personaggi si declinano in terza persona, raccontano il presente e lo costruiscono mentre lo han già vissuto e riavvolgono il nastro dei pentimenti, del rammarico, delle bugie, dei pensieri celati che ora possono confessare. Niente di me è tradotto e messo in scena da Jacopo Gassmann in un incontro francofono con l’autore norvegese, sfuggente e terribilmente interessante, seducente perché non inquadrabile ma fatalmente umano e tragico, denso di una contemporaneità che fa i conti con una società liquida in cui annegano le relazioni disperate di cui si nutre. Un uomo, una donna, due microfoni ai lati del mondo, si incontrano e raccontano, ma non si guardano, vedono le loro proiezioni che desiderano ricostruire una seconda vita dopo averne vista spezzata la prima. Non c’è niente nello spazio, solo 4 cubi e 1 cielo di sfondo grigio a malapena illuminato, tutto è creato dalle parole, nominati gli oggetti compaiono, si dissolvono, si trasformano, diventano storie di cui non si comprende, e non è importante, se siano verità o invenzione. Vogliono vivere, hanno fame di morsi, di sentire ciò che pensano di aver perso di vista, di confermare che quello che fanno ha ancora un peso nel mondo. Si isolano, si autoelidono da un mondo distrutto e ne fanno un altro, sfuggendo ai fantasmi del passato. E lo fanno con le parole, con la forza demiurga del fiato del verbo, inventano un nuovo universo nominandone luoghi, fatti, amplessi, dolori. Ma le ferite tornano a sanguinare, si fanno carne, ossa, corpo e parola, ricordo e lacrima, madri, figli, mariti e tragedie. Ogni trama ricalca il solco della lacerazione e si fa fiamma che cauterizza e spezza ogni resistenza. Ora si può finire, ora che è diventato più importante vivere e lasciar vivere. Sara Bertelà e Giuseppe Sartori sono demiurghi precisi nel creare i mondi con parole e presenza, con la nettezza del coltello affilano gli spigoli di una creazione verbale che si fa tavolo, pietra, bestiale essere. Seguono la trama di una regia che li vuole in prima istanza inquadrati nello schema ortogonale di una spietata ricostruzione al cubo, per poi dissolversi in un finale acquatico dentro ad uno sfondo marino che porta all’orgasmo della fine, la loro piccola morte. Michele di Mauro riesce in una metamorfosi strabiliante ad incarnare l’incubo, il passato, il fantasma, con pochi tratti, segnici e perfetti, tracima da corpo ad anima rendendo presenza donne, fanciulli e un marito infranto, modellando il proprio essere ad un dono prezioso per tutti gli spettatori. Uno spettacolo intensissimo, portato in sottrazione e in presenza, con ritmi indiavolati e partiture fisiche di una necessità straziante, in cui ogni essere umano può identificare la propria vita, la propria esperienza, la propria ricerca di salvezza. Da rivedere e rivedere per cogliere le migliaia di sfumature umane e riconoscere emozioni come su di un atlante dell’anima.

Visto il 26 settembre 2020.

———

Niente di me

Di Arne Lygre

Traduzione e regia di Jacopo Gassmann

Con Sara Bertelà, Michele Di Mauro e Giuseppe Sartori

Luci Gianni Staropoli

Produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Stabile dell’Umbria, Centro Teatrale Bresciano

I diritti dell’opera “Niente di me” di Arne Lygre sono concessi da Zachar International, Milano

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