Al Teatro Marconi di Roma fino al 15 dicembre 2024
La morte precoce di Annibale Ruccello a soli 30 anni nel 1986, ha privato la drammaturgia contemporanea di un autore innovativo. Il talento, oltre agli studi della lingua napoletana e di antropologia sulla condizione di una umanità che vive nel degrado superstizioso e violento, lo hanno reso oggetto dell’attenzione di attori, registi, studiosi e spettatori che ne hanno colto la sensibilità per le dinamiche emotive femminili e i sentimenti esacerbati e allucinatori.
Un anno prima della scomparsa aveva elaborato una riduzione teatrale dal romanzo la Ciociara di Alberto Moravia, messa in scena lo stesso anno da Aldo Reggiani con Caterina Costantini.
A 39 anni di distanza la Costantini ripropone la regia di Aldo Reggiani, scomparso undici anni fa, in un momento storico in cui l’atrocità della guerra è di stridente attualità, col suo carico di bombardamenti, distruzione, violenza contro le donne, atrocità. Un mondo che sembra aver perso la dimensione umana, dominato dalle lotte fratricide di popoli che non sono in grado di convivere pacificamente.
Nella riduzione di Annibale Ruccello la vicenda inizia dal ‘dopo’. La guerra è finita, Cesira e la figlia sono tornate a Roma e vivono una pseudonormalità in cui la ragazza ostenta esigenze borghesi: fuma e pretende la macchina, accusando la madre che disapprova, di essere una contadina.
Nella disperata solitudine la donna è perseguitata dai fantasmi della guerra: immagina di vedere Michele, il giovane intellettuale figlio dell’uomo che le ha ospitate durante lo sfollamento del ’44 sui monti della Ciociaria, che l’ammonisce con le sue invettive: “se pure gli uomini muoiono il dolore li fa rinascere”. In preda a un lucido delirio, la mente torna alla violenza subita dalla giovanissima Rosetta ad opera dei goumiers dell’esercito francese sulla strada del ritorno a Roma dopo la liberazione, che ha cambiato per sempre il carattere della ragazza e il suo atteggiamento verso la vita.
Stacco di luci e inizia la rievocazione della vicenda.
Cesira ha sposato un negoziante di Roma per sopravvivere alla miseria, è vedova da due anni e dedita al mercato nero. Per sfuggire ai bombardamenti sulla capitale, anche se crede che la città sarà risparmiata ‘perché c’è il Papa’ decide di mettersi al sicuro insieme alla figlia tornando dai parenti in Ciociaria. Nell’avventuroso viaggio si fermano nella casa infestata dalle cimici di Concetta, una contadina disposta a tutto per proteggere i due figli disertori “perché i fascisti c’hanno tutto, la provvidenza ce li ha mandati”.
In montagna trovano ospitalità da Filippo il cui giovane figlio Michele critica il regime, elogia la lettura e ammonisce: “Siete tutti morti, siamo tutti morti e crediamo di essere vivi… finché crederemo di essere vivi perché ci abbiamo le nostre stoffe, le nostre paure, i nostri affarucci, le nostre famiglie, i nostri figli, saremo morti… soltanto il giorno in cui ci accorgeremo di essere morti, stramorti, putrefatti, decomposti e che puzziamo di cadavere lontano un miglio, soltanto allora cominceremo ad essere appena appena vivi”. Portato via dai tedeschi in ritirata, verrà ucciso sulle montagne. Con la liberazione, Cesira vuole tornare a Roma, ai suoi affari, ma la strada del ritorno sarà ancora costellata di pericoli e sulla giovane Rosetta, scampata alle attenzioni dei fascisti, si accanirà la violenza dei liberatori marocchini.
Le loro anime ferite troveranno una catarsi nell’abbraccio finale, sulle note della canzone ‘Voglio vivere così’.
L’adattamento di Ruccello ispira i dialoghi di Michele al pensiero pasoliniano (Moravia e Pasolini, entrambi anticonformisti, frequentavano la stessa spiaggia di Sabaudia).
Caterina Costantini offre una magnifica prova di attrice che evoca, nell’intonazione e nel timbro vocale, le tragiche eroine di Anna Magnani. Lorenza Guerrieri è credibile nel ruolo della furba Concetta, che si adatta a ogni espediente. L’assenza di una vera regia non favorisce l’amalgama del cast, con alcune esuberanze di toni esasperati e convulsi e un’espressione ancora acerba della giovane Flavia De Stefano nel ruolo di Rosetta. Giuseppe Renzo, Mario Fedele, Vincenzo Pellicanò e Davide Varone gli altri interpreti.
Stupisce l’uso dell’accento romano, ben diverso da quello ciociaro e di Fondi presente nel film di De Sica con la Loren, caratteristico del mondo popolano che è rappresentato.
Gli stacchi tra le diverse fasi sono cadenzati dalle luci che a tratti assumono cromie e tagli caravaggeschi, su una scenografia evocativa di macerie e valigie di cartone (scene e costumi G&P, Attrezzeria Rancati Roma), e dalle musiche di Eugenio Tassitano.
“Riproporre oggi La Ciociara in teatro significa ripercorrere la memoria di un incubo che al risveglio lascia un senso di solitudine. Lo spettacolo comincia dalla fine, dopo il tragico evento, quando l’acutezza delle sensazioni che si provano durante l’emergenza finisce e la piccola vita tutti i giorni frantuma l’esistenza in mille piccole fastidi. Ecco allora affastellarsi nella mente i ricordi, le persone, gli episodi di un’odissea che culmina con il fatto dello stupro. – Caterina Costantini e Aldo Reggiani.
Tania Turnaturi