Quiet Light di Cindy Van Acker: corpi danzanti in assenza di gravità
È facile pensare al doppio significato che la parola inglese “light” può avere, dopo aver assistito allo spettacolo Quiet Light della danzatrice e coreografa svizzera Cindy Van Acker. Light come leggero, leggerezza dei corpi danzanti che si muovono nello spazio scenico quasi come fossero in assenza di gravità. Light come luce, in particolare mi riferisco al gioco di luci e ombre su cui è basato quasi l’intero spettacolo.
La scena è spoglia ma profonda, regna un senso di desolazione e malinconia come nei quadri del pittore belga Léon Spilliaert a cui Van Acker si ispira dichiaratamente per questa coreografia. L’atmosfera è notturna e bisogna soffermarsi per captare i micromovimenti di questa danza interiore. Interiore perchè non basata su un’evidente e visibile dinamicità, in perfetto stile Van Acker. Nella prima parte dello spettacolo prevalgono le forme lineari, dritte e spigolose e una dinamicità interna vettoriale. Ombre-silhouette, quasi presenze fantasmatiche in tute scure trasparenti, avanzano in movimenti-specchio leggeri, precisi e simmetrici, restituendo un interessante effetto di alterazione della percezione visiva che sembra rendere la vista doppia. Le due danzatrici (Stéfanie Bayle, Daniela Zagnini) di simili fattezze, sono come gemelle fluttuanti in un liquido amniotico dentro una partitura musicale prima minimale e desertica, poi fluida e magnetica (da brani esistenti di Lea Bertucci).
Nella seconda parte la dinamicità visibile è più viva, le linee sono più morbide, il movimento è alternato a istanti di pose plastiche. Questa scena è preliminare a quella finale in cui i due corpi si incontrano. L’incontro segna quel momento in cui il doppio lascia lo spazio all’unicità, alla simbiosi e al contatto. Lo spazio è scandito dalla danza: uno spazio più intimo e esclusivo di cui noi siamo i voyeurs. La danza diventa domestica, fatta di pause cariche di silenzi e respiri, di appoggi e di ricerca di equilibrio nell’altro o nell’altro da sè.
È resa occulta la possibilità di vedere con chiarezza cosa sta avvenendo, i corpi sono sagome scure dentro una scena sempre più notturna, dove una linea luminosa sembra tagliare la scena in due, tra solitudine, luce e buio. La musica si arresta e lascia parlare il movimento dell’anima che muove i corpi. Avvolte da una nebbia che ricorda ancora una volta i quadri dell’artista belga, le silhouette diventano lentamente inconsistenti e inafferrabili, infine invisibili. Difficile capire se siano esistite davvero o, se, in questa notte d’inverno, stessimo soltanto sognando a occhi aperti. Resta il dubbio.
Un modo diverso di vedere la luce: a quiet light.
Lavinia Laura Morisco