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Teatrionline > Blog > Featured > L’umanità pasoliniana nella messinscena di “Porcile” di Binasco
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L’umanità pasoliniana nella messinscena di “Porcile” di Binasco

Erika Di Bennardo
Ultima modifica: 29 Marzo 2017 09:30
Erika Di Bennardo
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In scena per la prima volta nel 2015, nel quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, questa versione di Porcile vede in prima linea uno dei più talentuosi registi della scena italiana contemporanea, Valerio Binasco.

Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Metastasio di Prato e dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con la collaborazione di Spoleto58 Festival dei 2mondi, vede in scena una delle sei tragedie scritte dal genio pasoliniano, una delle più cruente e intense.

Nella Germania post-nazista Julian (Francesco Borchi), il figlio di un ricco industriale, vive un dramma passionale inconfessabile perché incredibilmente scandaloso per il mondo e l’unica via per liberarsi di questo profondo baratro depressivo in cui sprofonda è la morte. La cornice è rappresentata da un padre (Mauro Malinverno) e una madre (Valentina Banci) asettici, assenti, visti da Binasco quasi dei manichini senza emozioni e sentimenti, perfetti nei loro completi inamidati ed elegantissimi ma vuoti e totalmente incuranti del dolore che attanaglia il figlio, che trova un illusorio e apparente conforto in Ida (Elisa Cecilia Langone), compagna di giochi e scorribande innamorata di lui, resa scenicamente come una bambina capricciosa e iperattiva piena di vita e voglia di fare, contrapposta a Julian, apatico e chiuso in sé stesso.

È tramite il protagonista che il pensiero pasoliniano ha voce, portando alla luce riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte che però in questo allestimento restano lì, non rappresentano il fulcro dell’impianto scenico, incentrato più sulla storia, sul dramma vero e proprio che vive il ragazzo e di cui tutti sono testimoni, colpevoli o forse no del suo triste destino.

Come dice lo stesso regista “Porcile non fa prigionieri. Condanna tutti, dal primo all’ultimo”. È una storia come tante, tragica come poche che, in questa nuova versione, fa riflettere molto sulla responsabilità dei cari che stanno accanto ad una persona che soffre internamente e che arriva ad un folle gesto credendolo l’unica soluzione possibile.

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