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Intervista a Ettore Ferrini

Ines Arsì
Ultima modifica: 24 Aprile 2020 09:59
Ines Arsì
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Ettore Ferrini
Ettore Ferrini e il Direttore Mario Cardinali nella redazione de Il Vernacoliere leggono Famiglia Padana
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Ettore Ferrini
Ettore Ferrini e il Direttore Mario Cardinali nella redazione de “Il Vernacoliere” leggono Famiglia Padana

Uno tra gli autori più brillanti del Vernacoliere, la nota rivista livornese di satira, ma anche scrittore ironico, sperimentale, disinibito, in grado di riflettere e far riflettere, (il che, di questi tempi, non è certo cosa da poco).

Abbiamo raccolto, per voi, un’intervista a Ettore Ferrini, ripercorrendo con lui le molteplici sfere della sua interessante produzione artistica e il suo sguardo d’insieme sulla società contemporanea.

——–

Ettore Ferrini, scrittore, vignettista, cinefilo. Lei esercita indubbiamente, in ognuna di queste sue attività, una capacità di osservazione e riflessione dai toni marcatamente dissacranti e ironici. Ci racconti il suo autoritratto di intellettuale contemporaneo.

Scrittore ci sta, vignettista pure, cinefilo di sicuro; ma intellettuale no, dai. L’intellettuale, come diceva Bukowski, è qualcuno che esprime un concetto facile in modo difficile, l’artista invece ha il compito contrario: trasmettere qualcosa di complesso con un linguaggio accessibile a tutti. Ecco il perché dell’ironia, perché è un veicolo formidabile di divulgazione: le persone amano ridere, soprattutto degli altri, qualcuno ci riesce anche con se stesso ma quelli son già più rari. Quanto ai toni dissacranti, il mio è un linguaggio di classe, inteso non nell’accezione di raffinato ma proprio in senso letterale: che appartiene ad una classe, quella della gente comune, e il vocabolario che utilizzo – spesso bollato come volgare – è già di per sé uno strumento di critica. Soprattutto in un sistema sempre più leccato nelle apparenze e deleterio nei contenuti.

Che cos’è la satira?

Per me il ruolo della satira non è informare, ma deformare. A informarci dovrebbero, condizionale, pensarci i giornalisti. Vero è che poi, quando mi ritrovo a leggere le prime pagine di certi quotidiani, spesso mi capita di chiedermi cosa potrei inventarmi di più grottesco e non di rado mi arrendo. A volte succede perfino che ipotizzi uno scenario assurdo e poi quello si verifichi davvero. Tempo fa, per dire, scrissi una finta notizia sul Vernacoliere: “Due gay si tengono per mano, Putin fa intervenire l’esercito. Ora i due pericolosi criminali dovranno seguire un corso di rutto parlato”. Poco dopo, in Cecenia, accadde sul serio. Ora non so se la riabilitazione prevedesse di esprimersi coi rutti, ma si parlò proprio di arresti e detenzioni in “campi di rieducazione per omosessuali”. È difficile deformare una realtà già deforme. Comunque la satira principalmente è esercizio dello spirito critico, o almeno questo è quanto disse il giudice quando archiviò la querela sportami dall’onorevole Sibilia. Ecco, facciamo così: se piace ai politici non è satira.

Rinomato collaboratore della rivista satirica Il Vernacoliere, cura le rubriche Pensieri in ironia e Famiglia Padana. Cosa significa, in tempi assai avversi alla risata, in un’epoca di censure, pressioni politiche e di estremismo religioso, produrre materiale satirico per un vasto pubblico di lettori?

Significa muoversi in un campo minato e questo produce un tale effetto intimidatorio che molti autori finiscono per diventare, come si suol dire, “più realisti del Re”. Sarebbe a dire che, per non sbagliare, si pongono dei limiti ancora più restrittivi di quanto preveda la legge, col risultato di produrre materiale insipido. Fortunatamente il Vernacoliere non appartiene a questa categoria e infatti finisce spesso in mezzo a polemiche, ma guai se non fosse così. Significherebbe che stiamo sbagliando qualcosa.

Lei è anche autore de L’Odio, la prima rivista italiana di satira in formato digitale. Ci racconta come è nata e in cosa differisce da Il Vernacoliere?

L’Odio si muove in un territorio completamente differente, che è quello di internet e dei social network, inoltre non è legata al vernacolo e infatti ai vari raduni degli “Haters” – così si chiamano gli abbonati – vengono persone da tutta Italia. Ormai è diventata una grande famiglia e il gruppo Facebook rappresenta una vera e propria oasi di intelligenza e ironia. Com’è nata? Semplicemente perché non c’era e qualcuno doveva farla. Le mie scorribande su Facebook negli anni mi hanno procurato un sacco di nemici ma mi hanno anche fatto conoscere molte persone valide, compresa la mia compagna Alice, che ormai da anni mi aiutano nei miei progetti. In particolare Federico Mostardi che oltre ad impaginare la rivista si occupa anche del sito ufficiale www.lodio.it e poi fra i collaboratori storici non finirò mai di ringraziare abbastanza Gabriele Moretti, scrittore, disegnatore, musicista e chissà cos’altro, Fabio Nocchi, una delle persone che più mi hanno fatto ridere nella vita e che fra le varie cose è pure autore di Striscia la Notizia, Manuel Cerfeda, altro grande talento, giocoliere di parole. Tutti questi, prima di qualsiasi altra cosa, li considero amici ma so anche che sono dei grandi artisti e per questo mi sento davvero fortunato.

Non ho niente contro i preti altrimenti l’avrei già spruzzato dappertutto, Il Sacro & il Propano, Linkoglioniti, Vintage, Cinemaialate. Ci accompagni in un breve excursus fra le sue opere pubblicate, fino all’ultima uscita, Snake.

Quando mi contattò l’editore del mio primo libro, Francesco Bogliari, stentavo a crederci. Sì, già pubblicavo per il Vernacoliere, però stavolta si trattava di un figlio tutto mio e ad oggi, dopo quasi dieci anni, lo considero ancora quello che mi somiglia di più. Anche in quel caso Gabriele fu fondamentale, mi aiutò a dargli esattamente la forma che volevo, tant’è che il secondo libro, “Il Sacro e il Propano”, lo scrivemmo a quattro mani. Partimmo dall’idea di realizzare una sorta di enciclopedia dissacrante dei personaggi biblici, ricordo per esempio che parlando di Noè scrissi che Dio mandò il diluvio universale perché secondo Lui la gente si stava divertendo troppo e sterminò pure tutti gli animali, che non c’entravano nulla, ma ormai s’era fatto prendere la mano. Il che fa ridere ma a ben vedere non si discosta molto dal racconto originale. Linkoglioniti è stata la mia prima esperienza con gli e-book, un prodotto digitale che ironizzasse proprio sul mondo digitale, probabilmente il libro più comico che abbia scritto. Vintage invece si può considerare un vero e proprio albo a fumetti, in questo caso l’obiettivo della parodia sono i vecchi fotoromanzi, quelli che le nostre nonne leggevano su Gran Hotel e che raccontavano storie di intrighi e tradimenti fra borghesucci annoiati dall’aspetto impeccabile. Li ho sempre amabilmente detestati, anche perché assieme alle telenovelas hanno fatto passare l’idea che per essere felici fosse necessario essere belli e ricchi. Cinemaialate è il mio omaggio alla settima arte, edito da Mario Cardinali e scritto a quattro mani col collega “vernacolare” Claudio Marmugi. Una sorta di Morandini in chiave comica nel quale ci siamo divertiti a demolire soprattutto i cosìddetti “blockbuster”, quei prodotti altisonanti e costosissimi che quasi sempre celano un vuoto siderale. Infine c’è SNAKE, la mia prima – e per ora unica – escursione nel campo della narrativa. È stata una sfida appassionante per me, riuscire a comunicare non più attraverso la satira o la saggistica ma con una vera e propria storia, addirittura un giallo, ed ero un po’ preoccupato di come l’avrebbero presa i miei lettori. L’accoglienza è stata strepitosa, su Amazon ha tutti voti a 5 stelle, ho ricevuto non so mai quanti messaggi, email, addirittura proposte per adattarlo al teatro e al cinema. Insomma, mi sa che dovrete sopportarmi ancora un altro po’.

Stiamo attraversando un periodo storico di profondi cambiamenti e criticità. Il rinvigorirsi degli estremismi, le migrazioni di massa e l’esplosione di una pandemia che ha stravolto la nostra visione del mondo. Possiamo conoscere un suo sguardo d’insieme sulle questioni ancora irrisolte che stanno condizionando il nostro presente in modo più significativo?

Degli estremismi non mi stupisco, una reale coscienza politica si costruisce faticosamente, servono pensieri lunghi e una visione globale della società in tutte le sue sfaccettature. Essere fascisti invece è facile, azzarderei perfino istintivo, un miope pragmatismo legato alle immediate contingenze. Crisi economica? Usciamo dall’euro. Flussi migratori? Chiudiamo i porti. Insomma, risposte semplici a domande complesse, che tuttavia esercitano una certa fascinazione sulle persone più sprovvedute. In questo l’errore imperdonabile di certa sinistra è stato lo snobismo, l’elitarismo proprio verso quel bacino d’utenza dal quale storicamente ha sempre attinto. Così, alla fine, ci siamo ritrovati un panorama di soli liberisti, in cui si sono definitivamente perduti i valori di uguaglianza e solidarietà. L’attuale crisi, legata alla pandemia, ne è una triste e dolorosa dimostrazione. Quando tutto questo è iniziato, i posti di terapia intensiva in Lombardia erano appena otto su centomila abitanti, e uno su tre era in mano a privati convenzionati. I medici di base erano stati definiti inutili, gli ambulatori ridotti, il tutto mentre si investiva in caccia bombardieri e in programmi d’investimento per la sicurezza, oltre a supportare economicamente tutte le infrastrutture militari statunitensi presenti nel Paese. Quasi come se ogni giorno qualcuno volesse appropriarsi con la forza dell’Italia, quando invece gli ultimi a tentare di invadere altri territori siamo stati proprio noi. Adesso che siamo minacciati da un microorganismo seicento volte più piccolo del diametro di un capello, vorrà dire che gli lanceremo contro dei missili.

Ci saluti con una sua idea di futuro possibile.

Potrà sembrare banale ma io credo che sia necessario rimettere le persone al centro e ricollocare il denaro al ruolo che gli compete, quello di semplice mediatore fra noi e gli oggetti che desideriamo.
Adesso non è così, il capitale è divenuto ente onnipotente, e non si può dire che Marx non ci avesse avvertito. Anche se sono sgradevole coi soldi posso comprarmi la più bella fra le donne, quindi la mia bruttezza è di fatto annullata dal denaro. Posso essere stupido ma comprarmi tutte le persone intelligenti che voglio, posso essere disonesto ma comprarmi la legge. In sostanza ciò che sono non è più determinato dalle mie qualità o dalle mie capacità ma dai soldi, un’astrazione cui abbiamo conferito potere assoluto, tant’è che siamo giunti perfino a considerare un atto d’eroismo se in questi giorni alcuni plurimiliardari gettano qualche briciola che gli avanza ai moribondi.
Tutta la nostra vita è regolata su questo, l’uomo ha smesso di essere schiavo dell’uomo per diventare schiavo delle cose, e questa venalità elevata a perfezione è disumana, autodistruttiva. Lo dimostravano ieri i morti in mare e oggi quelli che non trovano posto negli ospedali. Quindi è urgente che ci fermiamo, che ricominciamo a parlare di persone e non di “risorse”, perché se lo dobbiamo comprare non si chiama più diritto ma privilegio. E la vita non deve diventarlo.

Grazie.

Ines Arsì

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