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Reading: Teatro dell’Opera di Roma, “Die Zauberflöte” di Mozart nell’omaggio al cinema muto
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Teatrionline > Blog > Featured > Teatro dell’Opera di Roma, “Die Zauberflöte” di Mozart nell’omaggio al cinema muto
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Teatro dell’Opera di Roma, “Die Zauberflöte” di Mozart nell’omaggio al cinema muto

Fabiana Raponi
Ultima modifica: 22 Ottobre 2018 10:38
Fabiana Raponi
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Die Zauberflöte
Foto di Yasuko Kageyama
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Die Zauberflöte
Foto di Yasuko Kageyama

Una realtà fiabesca all’insegna del videomapping, omaggio al cinema muto: Die Zauberflöte – Il flauto magico di Mozart del celebrato allestimento del Komische Oper di Berlino con la regia a quattro mani di  Barrie Kosky e Suzanne Andrade in scena al Teatro dell’Opera di Roma, è stato un successo annunciato.

Le repliche sono andate quasi tutte sold out: prevedibile, ma non scontato, forse per un titolo popolare e fantasioso come il Flauto rinnovato nell’innovativo allestimento tedesco. Un Flauto così in effetti non lo si era mai visto: tecnologico, ma mai freddo, coinvolgente e delizioso viene trasformato in un vero e proprio film muto con l’azione che viene proiettata e vissuta direttamente all’interno dello schermo cinematografico costruito nelle proiezioni del gruppo 1927 di Suzanne Andrade e Paul Barritt (lo stesso anno che sancisce il passaggio dal cinema muto al primo film sonoro, Il cantante di jazz).

Direttamente sullo schermo ricreato sul palco (non c’è scena) vengono proiettate continuamente sofisticate e coltissime animazioni in videomapping di Paul Barritt con cui i cantanti in carne e ossa interagiscono abilmente e all’interno del quale sono totalmente inglobati.

E se sono gli attori a mantenere la propria tridimensionalità, tutto l’allestimento è all’insegna della bidimensionalità esattamente come accade nel cinema per allestire “un film muto di Mozart” come nelle intenzioni dichiarate di Kosky.

Il singspiel di Mozart non privo di simbologie massoniche diventa allora un raffinato e fiabesco film anni Trenta che si libera da tutti i precedenti confronti: il film proiettato e costruito sul palco del Costanzi è vivissimo e reale, affascinante e divertente con tanti riferimenti tutti da cogliere. Papageno diventa una sorta di Buster Keaton con l’inconfondibile cappello, Pamina è una sorta di educanda Louise Brooks, Monostato è un riconoscibilissimo Nosferatu… ma sono tantissimi i riferimenti dagli elefanti rosa che citano Dumbo, fino ai meccanismi di Metropolis di Fritz Lang oltre a illuminanti invenzioni come la Regina della Notte che diventa un nome ragno, scie di note di flauto o elefanti volanti.

Che ci si trovi davanti a un vero e proprio film è chiaro anche del massiccio intervento di revisione dei dialoghi, sostanziosi nel singspiel originale e ridottissimi nella versione del Komische, come nella volontà della Andrade, certa che “quasi ogni storia possa essere raccontata senza le parole” come ha dichiarato in una recente intervista.

Le lunghe dissertazioni diventano allora brevi dialoghi da cinema muto con le proiezioni sullo schermo accompagnato dalla pantomima dei bravissimi attori molto abili anche ad interagire con le proiezioni, ma senza stravolgere o diminuire la vicenda.

Colorata, fantasiosa e innovativa: la messinscena è talmente stupefacente che il sottotesto, pure abbastanza intricato del Flauto, potrebbe sembrare un po’ in secondo piano proprio come la musica, correttamente eseguita da Henrik Nánási, che sembrerebbe ridotta a una sorta di colonna sonora di un meraviglioso film in bianco e nero con tocchi di colore con le belle voci di Kiandra Howarth (e Amanda Forsythe)-Pamina, Juan Francisco Gatell (e Giulio Pelligra)-Tamino, Joan Martín-Royo (e Alessio Arduini)-Papageno, Emma Posman (Christina Poulitsi e Olga Pudova) la Regina della Notte).

I puristi avranno anche potuto storcere il naso, in un allestimento che offre la libertà di poter essere interpretare come meglio si vuole: il pubblico però continua a premiare un allestimento innovativo che mostra come la tecnologia possa perfettamente integrarsi nella più intelligente delle modalità, anche all’opera, e senza intaccare la qualità emotiva del Flauto che “parla della ricerca dell’amore e delle diverse forme che tale ricetta può assumere” secondo Kosky.

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