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Risurrezione

Irene Colantoni
Ultima modifica: 29 Gennaio 2020 16:57
Irene Colantoni
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risurrezione
Foto dell'allestimento del Wexford Festival Opera per gentile concessione di Clive Barda/ArenaPal e del Wexford Festival Opera
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risurrezione
Foto dell’allestimento del Wexford Festival Opera per gentile concessione di Clive Barda/ArenaPal e del Wexford Festival Opera

Una volta letto il romanzo “Resurrezione” di Lev Tolstoj e aver assistito a una sua riduzione teatrale, Franco Alfano musica nel 1904 l’infelice esperienza di Katiusha – erede delle protagoniste dei grandi romanzi del XIX secolo –, e del suo rapporto con il principe Dimitri. Dopo aver trascorso una notte insieme, il secondo parte lasciando di fatto Katiusha affogare nelle difficoltà della vita, fino a farle rinnegare persino sé stessa e farla perdere in una spirale peccaminosa; fomentata dal dolore e dall’isolamento. L’opera di Alfano viaggia su due linee parallele, rispettivamente quella della protagonista e quella del principe, destinate a non incontrarsi mai, ma a intraprendere lo stesso percorso di purificazione spirituale.

All’interno dei propri scritti Tolstoj ha sempre fatto della fede il principio regolatore del destino e delle stesse relazioni umani facendo pensare anche ai lettori che, oltre alla sofferenze dei personaggi, ci fosse un progetto più grande di Dio. Potremmo parlare di “Resurrezione” come di un’opera ciclica, incorniciata dai canti e dalle processioni della festività pasquale, e in cui il sacrificio di Cristo per amore dei propri figli trova una corrispondenza terrena nella rinuncia di Katiusha a coronare il suo sogno d’amore con Dimitri.

Grazie alle scene di Tiziano Santi, Rosetta Cucchi riflette le pene della protagonista in una regia che offre pochi spiragli di luce se non nel primo e ultimo atto, emblemi degli unici istanti felici, vissuti da Katiusha e Dimitri. A partire dal secondo atto, si innalzano per la prima barriere man mano invalicabili, prima costituite dal profilo di una stazione e poi dalle pareti della prigione in cui finisce; Anne Sophie Duprels si dimostra in grado di sostenere il ruolo della protagonista, dando prova di una non indifferente sicurezza scenica nella restituzione della trasformazione introspettiva di Katiusha. La prova vocale non è purtroppo altrettanto convincente, almeno non in modo costante: il timbro risulta infatti sfibrato nel registro più grave minando l’omogeneità dell’intonazione; va pur detto che quest’ultima caratteristica si è dimostrata più comunicativa e funzionale nei passaggi più drammatici dell’opera, dal cantato allo struggente parlato. Al soprano francese si affianca poi Matthew Vickers, tenore dal bel colore, chiaro e solido negli acuti, meno sicuro – un po’ spoggiato – nelle parti basse (difficoltà attribuibile a un po’ di stanchezza). Spiccano invece per la vocalità incisiva e corposa, oltre che per la padronanza scenica Leon Kim e Ana Victoria Pitts, interpreti di Simonson e Korablyova/Vera; insieme a loro completano infine il cast Francesca di Sauro, nel ruolo della zia di Dimitri, Sofia Ivanovna, e Romina Tomasoni, come Matryona Pavlovna, mezzosoprano dal timbro incerto, a tratti persino coperto dalla sonorità dell’orchestra.

Quest’ultima, diretta dalla bacchetta Francesco Lanzillotta, accompagna devotamente il fluire della musica di Alfano dal più puro lirismo al parlato riscontrando il favore del pubblico che, nonostante il teatro non fosse particolarmente gremito, accoglie calorosamente sia lo spettacolo sia i suoi interpreti.

(La recensione si riferisce alla rappresentazione di giovedì 23 gennaio).

———

Credits

Direttore Francesco Lanzillotta

Regia Rosetta Cucchi

Scene Tiziano Santi

Costumi Claudia Pernigotti

Luci Ginevra Lombardo su progetto di D.M. Wood

Katiusha Anne Sophie Duprels

Dimitri Matthew Vickers

Simonson Leon Kim

Sofia Ivanovna Francesca Di Sauro

Korablyova/Vera Ana Victoria Pitts

Matryona Pavlovna/Anna Romina Tomasoni

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino

Maestro del Coro Lorenzo Fratini

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