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Nabucco

Irene Colantoni
Ultima modifica: 8 Ottobre 2020 12:58
Irene Colantoni
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nabucco
Foto di Michele Monasta
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nabucco
Foto di Michele Monasta

Quando nel 1840 si presentò a Giuseppe Verdi l’occasione di scrivere una nuova opera – dopo il fiasco della rappresentazione del suo “Un giorno di regno” –, sembrava che la vita gli avesse tolto tutto, persino la musica. Il dolore per la morte della moglie e dei figli lo avevano segnato a tal punto da convincerlo di essere un pessimo compositore e da rifiutare inizialmente la proposta dell’impresario Bartolomeo Merelli di musicare un libretto, intitolato Nabucodonosor. Ma il testo di Temistocle Solera parlò a Verdi nell’istante in cui si aprì sulle pagine del “Va’ pensiero”, finendo per divenire il pilastro di quella che è stata considerata come l’“opera più risorgimentale” del musicista. Rappresentato per la prima volta il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala di Milano, il dramma consentì di instaurare un parallelismo tra la condizione politica italiana dell’epoca e la lotta degli Ebrei per la libertà dall’oppressione babilonese, nonché per l’affermazione della loro identità. Il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino non poteva che decidere di far rivivere al pubblico odierno la stessa sensazione, vissuta alla prima rappresentazione, e di fare portavoce di una tematica così importante un grande artista dell’opera lirica, quale Placido Domingo.

Leo Muscato circoscrive i personaggi di questa grande opera corale all’interno di uno spazio, fatto di pochi elementi scenici; tra i quali domina, nel corso delle quattro parti costitutive, una parete dalle nuances dorate che ci consente di avere una percezione del mondo esterno solo nel momento in cui Nabucco fa il suo ingresso in scena. Silvia Aymonino opta poi per una comunicativa scelta cromatica per i costumi dei vari ruoli: i colori primari – rosso, giallo e blu –, e le loro sfumature, tingono le tuniche del protagonista e dei suoi sudditi alludendo al loro attaccamento a “emozioni terrene”, come la brama di potere, la passione e il rancore; mentre le vesti del popolo ebraico, dalle tonalità rigorosamente neutre, descrivono la purezza che la sua anima ha trovato nella fede in Dio. Gli Ebrei, se presi singolarmente, appaiono dunque come granelli di sabbia che acquistano forza e consistenza solo quando sono tutti insieme, uniti nel loro credo. Possiamo affermare che assume una funzione intermedia, scenicamente e drammaturgicamente, il personaggio di Fenena, figlia di Nabucco: mezzo visivo, che con il suo abito antracite, segna il graduale avvicinamento cromatico e ideologico agli Ebrei; e mezzo tematico, determinante per la conversione religiosa del protagonista. Questa viene interpretata con notevole sensibilità dal mezzosoprano Caterina Piva, che restituisce in modo convincente la divisione emotiva del personaggio tra l’amore per il padre e quello per Ismaele; la padronanza della recitazione ha però la meglio su quella vocale, che in alcuni momenti appare sfocata. Al suo fianco Fabio Sartori ci regala un Ismaele ben bilanciato e altamente comunicativo: il tenore presenta di fatto un timbro pastoso, che ben si presta ai ruoli verdiani e la cui consistenza gli permette di raggiungere attimi di lirismo stupefacenti. Il ruolo di Zaccaria è posto invece nelle sapienti mani di Alexander Vinogradov: basso russo dalla voce corposa, robusta ed elastica, che gli consente di muoversi agilmente tra i registi non senza però risultare talvolta ingolato in quello più acuto. Torna poi a calcare il palcoscenico fiorentino María José Siri, che riesce sempre ad asservire il proprio strumento ai ruoli più complessi, come quello di Abigaille in Nabucco, per la quale di fatto combina alla fragile forza del personaggio una vocalità versatile e ben misurata. Ultimo, ma non meno importante: Placido Domingo scuote letteralmente il pubblico in teatro solo con la sua presenza; è bastato che facesse il suo ingresso e, prima ancora che potesse iniziare a cantare, ha scatenato l’applauso del pubblico. È una reazione più che naturale di fronte a “mostro della lirica” che con il suo Nabucco intrattiene gli spettatori, facendo loro provare la vasta gamma di emozioni, cui va incontro lo stesso personaggio: rabbia, onnipotenza, delusione, resa, amore. Infine l’innegabile potenza e precisione della sua voce non può che arricchire una performance senza dubbio riuscita, in cui si ha modo di seguire coerentemente la conversione e l’avvicinamento di Nabucco a Dio. Completano il cast con timbri vocali degni di nota Alessio Cacciamani, nei panni del Grande Sacerdote, dal timbro solido, ben proiettato e focalizzato nei registri; Alfonso Zambuto, come Abdallo, fiancheggia con gran disinvoltura scenica e vocale il protagonista, servendosi di una vocalità interessante, limpida e chiara nell’emissione. Carmen Buendìa dipinge con grande pathos la sua Anna, denotandola di un maggior spessore interpretativo grazie a una vocalità consistente, tecnicamente salda e luminosa.

Il Maestro Paolo Carignani guida splendidamente i cantanti durante la partitura, conferendo profondità e drammaticità con calibrati “giochi” di forte e piano; fino a sfociare nella più grande solennità con il famosissimo “Va’ pensiero”, per il quale è stato richiesto il bis.

La serata ha entusiasmato tutti gli spettatori, che non si sono dimostrati restii nel palesare il proprio apprezzamento tra un brano e l’altro dell’opera e, alla fine, agli interpreti.

La recensione si riferisce allo spettacolo del 7 ottobre 2020.

——–

Artisti

Maestro concertatore e direttore
Paolo Carignani

Regia
Leo Muscato

Scene
Tiziano Santi

Costumi
Silvia Aymonino

Luci
Alessandro Verazzi

Nabucco
Plácido Domingo

Abigaille
María José Siri

Ismaele
Fabio Sartori

Zaccaria
Alexander Vinogradov

Fenena
Caterina Piva

Il Gran Sacerdote
Alessio Cacciamani

Abdallo
Alfonso Zambuto

Anna
Carmen Buendía

Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino

Maestro del Coro
Lorenzo Fratini

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